LA RECENTE IMMIGRAZIONE IN ITALIA, NEL LAZIO ED A ROMA

Roberto Cipriani


Introduzione


            Una trentina di anni fa in Italia si scrivevano ancora molti saggi sull’emigrazione. Oggi ormai non si contano più libri e ricerche sull’immigrazione: una bibliografia parziale e provvisoria in proposito già annovera circa milletitoli.


Il fenomeno sociale più macroscopico che abbia interessato l’Italia nell’ultimo scorcio di questo secolo ‑ a partire dalla fine degli anni settanta ‑ è senz’altro il massiccio arrivo di molti stranieri. È un fatto del tutto nuovoche ha trasformato il nostro paese daarea di emigrazioneverso l’Europa e le Americhe a territorio di immigrazione dal Nord‑Africa e dalle Filippine ma anche ‑ in misura inferiore ‑ persino dagli Stati Uniti e  dalla Germania, per non dire – più di recente – delle regioni albaneso-jugoslave.


I dati statistici


           Già al 31 dicembre 1992, secondo i dati del Ministero degli Interni, risultavano registrati come “regolari” 925.172 stranieri con un aumento del 7% rispetto al 1991, che a sua volta aveva già registrato un aumento del 10,5% rispetto al 1990.


L’84% proveniva da paesi al di fuori dell’Europa, il 71% da paesi in via di sviluppo. 95.741 giungevano dal Marocco, 62.112 dagli Stati Uniti, 50.405 dalla Tunisia, 44.155 dalle Filippine, 39.425 dalla Germania e 39.020 dalla Jugoslavia. Meno di trentamila ma più di ventimila erano quelli che venivano – nell’ordine, per numero di immigrati ‑ dall’Albania, dalla Gran Bretagna, dal Senegal, dalla Francia, dall’Egitto.


            Al 31 dicembre 1998 gli stranieri soggiornanti registrati sarebbero – secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno – 1.033.235, ma la stima toccherebbe la cifra di 1.250.214. I cosiddetti extra-comunitari sarebbero 1.078.613. Quasi la metà sarebbe costituita da donne (46,8%). Le regolarizzazioni sono 400.638 (di cui 312.410 prenotazioni e 88.228 domande).


            Al 31 dicembre 1997 la provenienza europea si sarebbe notevolmente incrementata (con particolare riferimento ai paesi detti dell’Est) sino a toccare 486.448 unità. Ma resta cospicuo anche il flusso dall’Africa (350.952 soggetti) e dall’Asia (225.474 arrivi). 


Marocchini ed extracomunitari


            È da notare che il termine corrente ‑ nel linguaggio comune usato per indicare la maggior parte degli immigrati, specie se sono africani – è quello di “marocchini”. Ed in effetti questo corrisponde in qualche misura alla realtà, ma accomuna troppo e non distingue fra marocchini e tunisini, egiziani e senegalesi. Per di più vi è un sottile riferimento storico che non può sfuggire ai più anziani, testimoni dell’arrivo degli alleati in Italia ‑ nell’ultima fase della seconda guerra mondiale – accompagnati da truppe marocchine che vengono ricordate per atti di stupro specie nell’Italia meridionale e centrale. Ancor oggi rimane traccia di questo ricordo nel verbo marocchinare, che significa appunto violentare.


La dizione giuridica definisce inoltre extra‑comunitari coloro che non appartengono alle nazioni europee della Comunità Economica. Già questa condizione di essere extra, al di fuori, sembra legittimare in modo netto la differenziazione (e di fatto la superiorità dei cittadini nativi rispetto agli stranieri non appartenenti alla comunità definita implicitamente per eccellenza, quella europea). Questo eurocentrismo giuridico‑linguistico perdura e si rafforza col tempo sino ad entrare nel linguaggio comune.


Le componenti demografiche


La maggioranza degli immigrati in Italia è costituita ancora da uomini. L’età più ricorrente è ovviamente soprattutto quella lavorativa, fra i 19 ed i 40 anni, dal che si deduce che la ricerca di un lavoro è il motivo che spinge più spesso ad emigrare verso l’Italia. Minori sono le quote relative a ragioni familiari e motivi di studio.


Molti immigrati non sono sposati o comunque vivono lontani dalla loro famiglia, il che crea numerosi problemi legati alla solitudine ed alle carenze di tipo affettivo.


Provenienze ed approdi


Di rilievo è anche la presenza delle donne, occupate soprattutto come collaboratrici familiari e provenienti in particolare dalle Isole del Capo Verde e dalle Filippine.


Già nel 1992 almeno un immigrato su quattro risulta approdare a Roma (ora è 1 su 5, con  219.368 immigrati), sia perché la capitale è pur sempre un grande mercato e dunque offre maggiori occasioni di lavoro (sebbene precario), sia perché uno dei mezzi di trasporto più usati dagli immigrati per giungere in Italia è l’aereo, cosicché in molti casi sbarcano a Fiumicino e restano nella capitale.


Notevole è anche l’afflusso a Milano (117.330 persone nel 1992 e 161.746 nel 1997) ed a Napoli (43.420 immigrati nel 1992 e poco meno nel 1997, cioè 43.166, nonostante la crisi occupazionale che colpisce da lungo tempo i lavoratori della città partenopea).


Il 46% nel 1992 ed il 53,9% nel 1997 arriva nelle regioni settentrionali, il 35% nel 1992 ed il 29,4% nel 1997 in quelle centrali, appena l’11% nel 1992 e l’11,2% nel 1997 al sud, l’8% nel 1992 ed il 5,5% nel 1997 in Sicilia più che in Sardegna (rispettivamente, nel 1997, il 4,5% e solo l’1%).


La regione con il maggior numero di immigrati non è più il Lazio, con 229.043 nel 1992 e 241.243 nel 1997. Invece è ora la Lombardia con 167.017 nel 1992 ma ben 270.943 nel 1997. Ovviamente i poli di maggiore attrazione restano rispettivamente Roma e Milano, ma quest’ultima città e la relativa regione fanno segnare incrementi assai significativi.


È da segnalare la singolarità del fatto che l’Italia, insieme con il Canada, è uno dei paesi con il tasso maggiore di disoccupazione nell’ambito dei sette paesi più industrializzati nel mondo. Si è superato l’11% come media nazionale, ma in alcune zone si arriva anche al 20%, per cui il lavoro appare una risorsa piuttosto scarsa. Tuttavia i trends immigratori tendono ad aumentare.


Le forme dell’immigrazione: stabile, stagionale e transitoria (o provvisoria)


Va comunque considerato che l’Italia è anche un paese di passaggio in attesa di trovare accoglienza altrove, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, in Germania ed in Australia.


Per altri l’immigrazione è solo stagionale. È questo il caso dei nordafricani che raggiungono alcune zone italiane nei periodi in cui è maggiormente necessaria la manodopera per le attività agricole, specialmente per la raccolta dei prodotti nei campi.


Ad ogni buon conto bisogna tenere presente che le cifre qui fornite non sono che quelle ufficiali. La realtà dei fatti è molto più cospicua. Sono numerosi gli immigrati giunti clandestinamente o il cui permesso di soggiorno è scaduto da tempo o non è mai stato richiesto. Di conseguenza si può ipotizzare ‑ come molti specialisti propongono ‑ che la presenza straniera in Italia ammonti ad un totale che viene stimato fra un milione e duecentocinquantamila e quasi un milione e quattrocentomila persone ‑ cioè circa il 2,5% della popolazione italiana residente ‑ con un aumento tendenziale annuo attorno al 10% (nel frattempo è molto più contenuto il movimento emigratorio degli italiani: ogni anno ne espatriano circa sessantamila ed altrettanti ne rientrano, sicché si ha un sostanziale pareggio dei flussi indigeni in entrata ed uscita).


Erano in aumento in Italia sin dal 1992 anche gli alunni stranieri, che toccavano un totale di 26.654 soggetti, di cui 6.045 in Lombardia e 3.999 nel Lazio. Appena il 4% era però il numero di allievi non italiani negli istituti scolastici delle isole. In generale frequentavano più i maschi che le donne. Al primo posto risultavano marocchini e marocchine, seguiti da cinesi, jugoslavi ed albanesi e poi da argentini, statunitensi e tedeschi. Si attestava invece attorno al 2% la quota di studenti universitari stranieri, né tende successivamente ad aumentare, restando dunque a livelli piuttosto bassi rispetto al resto d’Europa.


Gli stranieri presenti in Italia provengono da oltre 170 paesi, soprattutto dall’Africa (con oltre 50 paesi) e dall’Asia (con una quarantina di paesi). L’immigrazione dai paesi della Comunità Economica Europea è piuttosto contenuta.


Le appartenenze religiose


A parte la differenza di lingua, quella più evidente e condizionante è di natura religiosa. Secondo le stime, per il 1997, di Franco Pittau ed Alberto Colaiacono della Caritas di Roma i cattolici sarebbero 371.658, i musulmani 422.186, i cristiani acattolici arriverebbero a 275.759, ma nel caso specifico degli immigrati dai paesi in via di sviluppo (escluse l’America Latina e l’Europa Orientale) gli islamici hanno senz’altro la maggioranza relativa (in effetti dall’Africa e dall’Asia provengono molti dei musulmani che si trovano in Italia, soprattutto a Roma, dove non a caso è stata costruita nella zona di Monte Antenne una grande moschea, già inaugurata solennemente ed assiduamente frequentata).


Notevole è anche la presenza di ortodossi di rito russo-bizantino e greco, nonché di protestanti, per un totale – già citato – di 275.759 cristiani acattolici.


Non mancano buddisti e scintoisti (40.768), un po’ meno sarebbero gli induisti (28.236) e gli animisti (17.960). 4.244 sarebbero gli ebrei e 9.735 (in aumento rispetto al passato) i confuciani ed i taoisti.


Il caso romano-laziale


              In questo quadro così composito è difficile avere dati del tutto precisi ed affidabili e soprattutto aggiornati. Neppure indagini campionarie riescono a fornire indicazioni più soddisfacenti. Il fatto è che si ha a che fare con una popolazione molto instabile, dinamica, in forte cambiamento. Intanto i recenti sommovimenti dell’Est europeo, dei Balcani e di alcuni paesi africani fanno ipotizzare che ulteriori correnti immigratorie siano in arrivo, abbastanza disponibili ad entrare nel campo della sottoccupazione e del lavoro sommerso. Roma ed il Lazio rappresentano un quadro esemplare dei cambiamenti in atto.


            Le più recenti informazioni statistiche presentano un quadro variegato e di particolare interesse. In effetti il territorio romano e quello laziale sono per ragioni sia storiche che contingenti quasi un naturale bacino di accoglienza dei flussi migratori. Non solo la capitale ma anche il resto della regione, in particolare Latina e la sua provincia, rappresentano degli sbocchi facilmente accessibili per chi arriva dall’estero nel nostro Paese. Del resto le maggiori strutture di accoglienza sono attive proprio in tali aree. Si pensi ai centri romani della Caritas ed al campo profughi della zona pontina, strutture « provvidenziali » ma ormai insufficienti a recepire ondate immigratorie di portata inusitata. Si consideri che nel 1987 arrivavano ufficialmente a Roma appena 9.069 stranieri e quasi un decimo di tale misura in ognuna delle due province di Latina (981 immigrati) e Frosinone (980 arrivi). Ben più ridotta era la quota registrabile a Viterbo (296) e Rieti (126). Tutta la regione contava in quell’anno solo 11.449 movimenti dall’estero. Era già in calo il fenomeno emigratorio, che faceva registrare cifre attorno ad un terzo o poco più della popolazione immigrata. Tale tendenza si è mantenuta sostanzialmente immutata per un decennio, mentre è cresciuto a dismisura l’andamento immigratorio. Infatti già nei due anni fra il 1986 ed il 1988 si registrava un aumento di oltre il dieci per cento degli stranieri con regolare permesso di soggiorno presenti nelle provincie laziali: da 122.154 a 197.261. Notevole era sin d’allora la presenza di lavoratori generici e di collaboratrici domestiche (soprattutto asiatiche), ma anche di impiegati amministrativi. E non era trascurabile neppure il peso degli studenti stranieri sia a livello di scuole secondarie superiori (812 nel 1986-87) che di studi universitari (5.742 nel medesimo anno accademico). Negli atenei romani studiavano soprattutto iscritti a medicina (2.066 nel 1986-87) e ad università pontificie (806 nello stesso periodo). Si trattava in primo luogo di asiatici, seguiti da greci ed africani.


            In Italia la maggioranza cattolica fra l’immigrazione più recente è confermata al 29,9%, mentre la quota dei cristiani protestanti ed ortodossi è al 22,3%. Roma poi è particolarmente cattolica fra gli immigrati (al 42,4%) ma è pure musulmana (al 21,5%) e cristiana protestante-ortodossa (al 21,5%). Nella capitale, secondo una stima della Fondazione Migrantes, sarebbero 89.652 i cattolici, 45.365 i musulmani, 44.643 i protestanti e gli ortodossi insieme, 8.109 gli induisti, 7.682 i budddisti insieme con gli scintoisti, 2.900 gli animisti. Tra le comunità religiose cattoliche le più numerose sono, nell’ordine, le filippine e quelle polacche, spagnole e peruviane, tra le ortodosse e le protestanti quelle rumene e le inglesi e statunitensi.    


Conclusione


            Al 31 dicembre 1998 risultavano regolarmente soggiornanti e registrati nel Lazio 199.374 stranieri, con la maggioranza assoluta a Roma (ben 181.296 presenze « ufficiali »). Va anche notato che la provincia di Latina (7.715 soggiorni in regola) si conferma al secondo posto ed è seguita – ad una certa distanza – da quella di Frosinone (4.262 « regolari »). Va sottolineato il rilevante apporto di genere nella città di Roma con una stima di 113.116 donne su un totale di 219.368 soggiornanti calcolati non ufficialmente.


            Nel 1998 si sono avute nel Lazio 79.432 regolarizzazioni (il 19,8% del totale italiano), di cui 71.513 a Roma.   


            Non è difficile prevedere che nei prossimi anni il trend in corso non sarà destinato ad arrestarsi o a cambiare direzione. Insomma sempre più Roma ed il Lazio avranno un destino cosmopolita. Anche l’andamento del primo giubileo realmente globale ne è una prova.


* Sintesi di intervento.