QUANDO UN PAPA STA MORENDO

Roberto Cipriani

Nel momento in cui scrivo queste riflessioni, a pochi metri da me e dalla mia abitazione il papa dei cattolici sta vivendo ancora una volta un’esperienza fisicamente dolorosa ma per lui quasi abituale. Non è la prima volta che affronta la morte. Ora certamente il rischio è ancora più grave di quel giorno dell’attentato da parte di Alì Agca. Ma ancora una volta il suo comportamento stupisce: il suo tasso di umanità è particolarmente alto. Forse anche per questo Giovanni Paolo II, ovvero Karol Wojtyła, ha mostrato di capire uomini e donne di ogni continente in una maniera eccezionale. Soprattutto ha capito i giovani e le donne, che ricambiano con affetto. Ieri sera, venerdì primo aprile, mi hanno impressionato i gruppi di giovani, seduti a terra, con una candela o con un lumino acceso, in preghiera o in canto, quasi incantati ancora una volta da qualcuno che vuole loro molto bene: Giovanni Paolo ovvero Colui che il papa rappresenta.


            Se i simboli valgono qualcosa non erano fuori luogo, sul selciato di piazza San Pietro, alcune lanterne disposte a croce per terra, con un andamento un po’ curvo, quasi a seguire i selci del pavimento (i famosi sampietrini), ma in maniera tale che il braccio minore della croce fosse orientato verso i giovani e quello più lungo disposto in modo da avere la sua base orientata verso la finestra dietro la quale, al terzo piano del palazzo apostolico, proprio all’angolo (sì in corrispondenza delle pietre d’angolo), giaceva in un letto il papa, motivo principale della presenza di quei giovani e di tanti altri nella storica piazza circoscritta dal colonnato berniniano.


            Ma un altro elemento rendeva irripetibile quell’atmosfera: il silenzio, nonostante la presenza di tanti giovani, di tanti bambini, di tanti adulti, di migliaia di persone che non parlavano o parlavano sottovoce quasi non volessero disturbare il convitato presente-assente da quella finestra per lui abituale, ora illuminata ma affiancata sulla destra da un’altra finestra senza alcun filo di luce.


            Era quasi mezzanotte quando sono rientrato a casa, ma dalla mia finestra ho visto che ancora molti si recavano verso la piazza per una veglia durata tutta la notte sino alle prime luci dell’alba.


            Quel che resta impresso di queste ore è il clima di attonita quiete, quasi a rendere omogeneo l’atteggiamento dei fedeli con quello del papa: una serena attesa, che diventa quasi contagiosa.


            Non si tratta solo di simpatia per il papa: è una vera e propria empatia, cioè sofferenza ed attitudine che si immedesimano con quelle del pontefice. In fondo è quella medesima empatia che il vescovo di Roma ha provato e manifestato nei riguardi dei giovani, alla cui presenza ha spesso infranto le regole del cerimoniale, per gioire in loro, scherzare in loro, cantare in loro, ironizzare in loro, insomma diventando – lui papa – più scanzonato, per quanto possibile, dei giovani stessi. Il tutto è chiaramente emblematizzato dal grido John Paul Two we love you, cui il papa era solito rispondere John Paul Two loves you.


            Che dire, infine, di un pontificato durato quasi ventisette anni? Occorre più calma per fare qualche considerazione fondata in proposito. Per ora ci si può limitare ad una semplice osservazione di dati di fatto: papa Wojtyła è stato tanto difensore dei principi tradizionali della chiesa cattolica quanto aperto al dialogo con le altre religioni e disponibile ad allargare le frontiere della fede. Certamente il suo pontificato ha inciso visibilmente sulla storia della chiesa cattolica, ma non solo.


Roberto Cipriani


Sociologo della religione


Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia


Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione – Università Roma Tre


(Roma, 2 aprile 2005, ore 15)