RELIGIONE, CHIESA E MODERNIZZAZIONE

Roberto Cipriani


Premessa


   Anzitutto definirei speciale l’evento che viviamo in questo Istituto di Scienze Religiose di Assisi, che si colloca all’interno di un modello esemplare di studi religiosi, non ancora del tutto diffuso in Italia: quello che vede insieme laiche e laici, religiose e religiosi.


L’evento è speciale perché saluta la pubblicazione e la presentazione di un nuovo volume.


Speciale è poi l’occasione in sé, che consente una sorta di koiné tra persone che, per varie vicende, hanno visto i loro percorsi biografici intersecarsi più volte nel corso degli ultimi decenni: con Don Vittorio Peri nel Centro Sportivo Italiano,con Mons. Lorenzo Chiarinelli in tempi che risalgono a quando egli non era ancora ordinario diocesano; con Luca Diotallevi, al quale vorrei adesso offrire qualcosa appunto di speciale, parlando di questo “casoitaliano” e cioè di che cosa sta avvenendo nella religiosità che è in Italia.


La prima ricerca scientifica sulla religione degli italiani, statisticamente rappresentativa, è contenuta nel volume La religione in Italia, pubblicato da Mondadori nel 1995. Si tratta di un’indagine condotta su un campione di 7500 persone, ponderato poi su 4500 soggetti.


Ma ripercorriamo insieme le tappe dei vari filoni di questa ricerca.


Il primo percorso si riferisce agli anni ’94-’95, il tempo contrassegnato dal Convegno ecclesiale di Palermo e durante il quale esce il citato volume della Mondadori.


Il secondo percorso èquello dell’indagine sul pluralismo religiosoe morale, non ancora pubblicata, condotta a livello internazionale e che avrebbe dovuto includere anche un confronto con gli Stati Uniti d’America, mentre si è limitata alla sola Europa.


Il terzo percorso riguarda l’indagine, ancora in lavorazione, sui giubilantii pellegrini venuti a Roma per il Grande Giubileo del 2000. Si tratta di una ricerca sociologica del tutto nuova, se si escludono i tentativi, solo avviati, di Gabriele De Rosa e Alphonse Dupront, nel 1975 e nel 1983, che, peraltro, hanno lasciato quasi solamente le tracce delle difficoltà incontrate.


Si parlerà degli italiani, ma l’analisi condotta su 1033 persone ha riguardato giubilanti di ben otto lingue. Il medesimo questionario, infatti, è stato somministrato, debitamente tradotto, a soggetti di otto idiomi diversi, tra cui il giapponese. Il che ha richiesto, oltre il difficile lavoro di traduzione, un’attenzione specifica alla quantificazione del campione.


Il quarto ed ultimo percorso apre uno squarcio sul futuro, per sapere che cosa potrebbe accadere  della cattolicità di qui a qualche anno.


    Fanno da guida, in questa tappa, i dati di una recente indagine condotta da William D’Antonio, uno dei massimi studiosi del cattolicesimo statunitense.


Ovviamente dobbiamo tener conto della diversità del contesto nord-americano, ma al tempo stesso occorre essere anche attenti a coglierne le indicazioni significative perché, per esperienze sociologiche e storiche, sappiamo bene che quanto avviene negli Stati Uniti dopo non molto si riverbera anche da noi, sia pure con caratteri diversi.


Questo è il panorama su cui ci soffermeremo ed al quale fa da “finestra” la copertina-vetrata del libro di Diotallevi: non saprei se posta lì a caso o per precisa opzione dell’editore. Per noi è una vera e propria opportunità conoscitiva.


La copertina, dunque, vista da lontano assomiglia un po’ a quella del mio manuale di Sociologia della religione pubblicato qualche tempo fa nella stessa collana. Lì c’era un mantra, un disegno variopinto, realizzato con granelli di sabbia che, alla fine, vengono spazzati via, separati gli uni dagli altri, con conseguente scomparsa del disegno.


Forse è più duraturo il disegno della vetrata: prima di tutto il mantra è posto a terra, mentre la vetrata è posta in alto, quindi è più difficile da raggiungersi. Tuttavia esistono tra i due motivi in copertina anche esplicite analogie: sia la molteplicità dei granelli di sabbia del mantra che la varietà dei colori riconducono al pluralismo delle religioni, agli innumerevoli dati delle esperienze religiose.


C’è poi un’altra osservazione che forse sarà sfuggita allo stesso autore del libro: la vetrata della sua copertina è verosimilmente rovesciata; ed infatti solo se si capovolge il libro s’intravede una croce che altrimenti sfuggirebbe.


Tale rovesciamento comporta dunque uno sguardo più attento, volto a scrutare, a cogliere qualcosa che sta dentro le fibre strutturali le quali, nella fattispecie, sono quelle del Cristianesimo, del Cattolicesimo, della Chiesa, cercate e lette attraverso i sinodi, le vocazioni, le organizzazioni ed altro ancora.


Si tratta, insomma, al di là della suggestione metaforica, di voler vedere come si presenta la cattolicità italiana, o meglio la religiosità che è in Italia, cioè una situazione che va, sotto questo profilo, mutando notevolmente rispetto al passato.


Certe equazioni non funzionano più, ma le eccezioni non mancano. Per dirla con un episodio: qualche tempo fa andai ad Istanbul per una conferenza sul “fatto religioso” e sul “fatto educativo”; citai in quell’occasione un dato, a tutti noto del resto: che a Roma l’Islam è ormai la seconda religione, vista la notevole presenza d’immigrati appartenenti a questa fede. L’indomani, la prima pagina di un quotidiano locale riportava il seguente, sintomatico titolo: “L’Islam ha conquistato Roma”. Si trattava forse di una sorta di revanche rispetto alla conquista di Costantinopoli e di Gerusalemme.


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Ma torniamo al nostro tema e vediamo che cosa nell’ambito religioso sta avvenendo in Italia, a partire dal riferimento fornito nel 1995 dall’indagine cosiddetta della Cattolica, sulla base di numerosissimi indicatori.


In Italia abbiamo una religiosità che tende sostanzialmente al livello medio-basso: lo dice la relativa quota del 28%, la più rilevante in termini statistici.


Oltre questo dato maggioritario c’è una polarizzazione che si esprime con circa un 10% di non-credenza, di indifferenza e quindi di religiosità nulla e con un 12,3% di religiosità cosiddetta alta.


Ne risulta che, in sostanza, non ci troviamo di fronte ad una religiosità particolarmente visibile ed accentuata.


Entrando ancor più nel merito del discorso e quindi nei temi del libro in esame, cioè religione, Chiesa e modernizzazione, analizziamo il dato relativo alla identificazione con la Chiesa: il 31% esprime il suo sì senza riserva; il 32% dice sì con qualche riserva; il 24% si ritiene cattolico, ma a modo suo; l’11% si autodefinisce cattolico, ma non ha le idee troppo chiare. Il cattolicesimo italiano è, dunque, tutt’altro che omogeneo.


C’è poi la tipologia dell’appartenenza: il 22% appartiene al Cattolicesimo per convinzione personale, quindi in modo attivo e militante; il 40%, per convinzione personale, ma non sempre in modo attivo (e qui siamo nell’ambito della religione diffusa”); il 27% appartiene per tradizione; il 9% per condivisione di alcune idee.


Ancora più interessante è il dato relativo alla fede in Gesù Cristo e all’adesione agli insegnamenti della Chiesa Cattolica: sono più numerosi quelli che credono in Gesù Cristo, meno quelli che credono nella Chiesa Cattolica. Messi insieme gli uni e gli altri danno il 53%; filtrando poi questo risultato emerge che il 40% è vissuto in un ambiente in cui prevale la propria fede religiosa, quindi in un contesto presumibilmente tutto cattolico; infine il 31% si riconosce nella fede espressa.


Alla domanda se il credente debba far parte di associazioni o gruppi o movimenti religiosi il 15% risponde sì, ma di fatto vi aderisce solo l’8%: ecco dunque il precipitato storico reale, rispetto all’affermazione di principio.


Un altro aspetto interessante è poi quello relativo all’autovalutazione della preparazione religiosa degli italiani: il 44% la considera sufficiente o buona; il 26% quasi sufficiente; il 28% scarsa o nulla.


In pratica gli stessi Italiani, per più della metà, riconoscono di non avere un’adeguata cultura religiosa.


Quanto alla struttura parrocchiale, che costituisce anche un tópos dell’indagine di Diotallevi, alla domanda “La vita socialerisentirebbe negativamente della chiusura della Parrocchia?” il 56%, quindi la maggioranza assoluta, risponde: “Poco o niente”; il 35% che ne risentirebbe abbastanza; molto, il 7%. Il che significa che il 42% degli intervistati è particolarmente sensibile alla presenza della struttura parrocchiale e non vorrebbe che fosse abolita.


Analizziamo adesso la dinamica riguardante la presenza regolare alla messa: le donne sono più religiose degli uomini; gli anziani (uomini e donne) più religiosi dei giovani. Se, però, esaminiamo la serie storica,  constatiamo che la stessa fascia d’età intervistata nel 1972, quando aveva 25-34 anni, intervistata poi nel 1994, all’età di 47-56 anni, dimostra un aumento di religiosità, anzitutto con un più alto tasso di partecipazione alla messa, che è una delle ritualità più significative e visibili.


Così dicasi della fascia d’età successiva: chi aveva 35-54 anni nel ’72 esprimeva una religiosità intorno al 35%; nel ’94, a 57 e più anni, la percentuale sale al 46% che, tradotto sociologicamente, significa: se c’è una socializzazione religiosa di base questa, col passare del tempo, dà i suoi risultati.


Propongo inoltre un’ultima analisi in chiave diacronica, come sapientemente ha fatto anche Diotallevi nel suo libro: guardando al passato e compiendo una rappresentazione grafica di varie ricerche, di vari autori, di vari enti, in vari anni, per quanto concerne la presenza regolare alla messa negli ultimi venticinque anni, cioè dall’indagine Burgalassi del 1968 a quella dell’Università Cattolica del’94, i risultati procedono con una percentuale del 34, 35, 28, 35, 32, 29, 30, 33, 31, attestandosi, cioè, lungo l’arco di ben 25 anni, attorno al 30%, punto più, punto meno, quindi con un continuum che non si interrompe.


Concluso il primo dei quattro momenti, consideriamo ora la “presenzadei sacerdoti in Italia”: essa è di circa un sacerdote per 10000 abitanti, ma con una rilevanza maggiore nel Triveneto e nella Lombardia e con più bassi livelli nelle regioni meridionali: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia.


Circa “l’immagine che gli Italiani hanno dei preti” solo il 10% ritiene compito di un credente consigliarsi con dei sacerdoti; il 9,8% ritiene tipico del credente contribuire alle necessità economiche della Chiesa o del proprio gruppo religioso.


Dell’omelia domenicale il 46% lamenta la lunghezza, il 23% l’impostazione polemica. Il 49% non la ritiene affatto stimolante (e questo è probabilmente il dato più intrigante) ed infine c’è un 14% che ha difficoltà per comprenderla.


Interessante è il dato sulla “confessione”: più di un quarto non si accosta mai ad essa, però il 22% ne vorrebbe cambiare la modalità; il 18% attribuisce il suo non gradimento al modo di confessare di alcuni preti; il 28% sostiene che basta pentirsi davanti a Dio.


Inoltre il 50% dice di non aver mai dato denaro alla Parrocchia; il 78% di non aver mai parlato con un sacerdote su problemi personali o familiari. Al tempo stesso, quasi la metà degli intervistati afferma che in Italia la Chiesa cattolica è l’unica autorità spirituale e morale degna di rispetto.


Quanto all’8 per mille va rilevato che il 58% ritiene giusto il finanziamento delle Chiese.


Degno di attenzione è anche il giudizio degli italiani sulla “clausura, sia perquanto riguarda ireligiosi che le religiose”:il 16% ritiene che sia la testimonianza più alta; il 20% una forma valida al pari delle altre; un 18% la immagina priva di senso. E la maggioranza vede più positivamente il fatto che i religiosi abitino fra la gente.


La domanda sui “principali ostacoli alla scelta di vita sacerdotale” ottiene queste risposte: il 20% indica il principale ostacolo nella solitudine; il 21% dice, genericamente, che oggi esistono altre possibilità di fare una scelta religiosa; il 26% è del parere che il sacerdozio comporta la rinuncia a troppe cose. Tali percentuali possono essere anche cumulate attorno a due risposte: il 37% reputa un ostacolo il non potersi sposare e il 23%, il dover fare una scelta per sempre.


Un altro dato, forse inatteso, concerne “il sacerdozio alle donne”: il 34,8% vede positivamente l’accesso femminile alla funzione sacerdotale; il 28,9% appare perplesso.


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Passiamo adesso al secondo aspetto: l’indagine europea sul pluralismo religioso e morale, completata durante il 2000 e basata su 2149 soggetti intervistati in Italia: di questi, 1703 si sono dichiarati cattolici, quindi il 79,3%, raggruppabili nel modo seguente:


I gruppo:     i rigoristi, 21%


II gruppo:                i timorosi e gli incerti, il 12%


III gruppo:   i tradizionali celebrativi, il 18%


IV gruppo:  i radicali aperti, il 17%


V gruppo:    i praticanti impegnati, il 22%


VI gruppo:  i negativisti, il 7,8%.


    Si può delineare ora qualche breve profilo.


I “rigoristi”(21%) hanno un livello d’istruzione medio-basso; per essi il massimo valore educativo è l’obbedienza; per di più ritengono importante la funzione della religione cattolica, ma non svolgono volontariato religioso e sono tolleranti verso l’aborto.


Gli “incerti timorosi” (12%) presentano un livello d’istruzione medio- basso(anche per la presenza di molti anziani); sono indecisi per alcuni versi, ma non quando si tratta di favoritismi verso i parenti.


I “tradizionali celebrativi” (18%) danno molta importanza alle celebrazioni liturgiche; temono gli immigrati; accettano l’evasione fiscale nei confronti dello Stato, giustificandola in nome degli sprechi pubblici; ritengono importante l’obbedienza e sono contrari all’aborto e alla pena di morte.


I “radicali aperti” (17%) sono soprattutto giovani adulti di 35-44 anni e singles; esprimono tolleranza per l’omosessualità e per l’eutanasia; considerano gli immigrati alla pari degli italiani; vedono favorevolmente uno stato di tipo laicale.


I “praticanti impegnati” (22%) hanno un livello d’istruzione medio-alto; sono molto coscienti delle loro scelte personali; hanno un forte grado di convinzione religiosa, praticano il volontariato, manifestano tolleranza verso le altre religioni.


I “negativisti” (7,8%) non vedono bene la presenza di stranieri in Italia; non sono tolleranti verso le altre religioni; non sono favorevoli alla pena di morte.


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Ora è la volta del terzo momento, l’indagine sul giubileo, cui pongo a mo’ di premessa una citazione che potrà stupire: “I dogmi costituiscono l’ostacolo più formidabile all’instaurazione di un sistema inteso ad offrire un modello per il presente ed il futuro”. Sono parole di Mohamed Katami, Presidente dell’Iran. Si tratta, evidentemente, di una posizione molto chiara da parte di un intellettuale che, se anche non è seguito dalla maggioranza degli islamici dell’Iran, rappresenta pur sempre un punto di riferimento per dei gruppi che riflettono su queste dimensioni per andare al di là del pregiudizio verso un Islam considerato sempre e comunque intollerante ed integralista.


Del resto, anche in base a molti dati sociologici raccolti sulla religiosità islamica, si può rilevare statisticamente che i fondamentalisti sono una minoranza. Forse sembrano di più perché gridano un po’ più forte, perché si fanno presenti con azioni più vistose: ciò non toglie che si debba usare molta attenzione per non enfatizzare ancor più l’effetto moltiplicatore dei mass media.


Il prendere le mosse da una citazione di Katami è giustificato dal fatto che il mio lavoro, all’interno della ricerca sul giubileo, riguarda il “rapporto tra ortodossia ed eterodossia”, una questione molto delicata. Si tenga presente, tuttavia, che le interviste sono state somministrate a persone particolarmente impegnate, non a caso giunte a Roma per celebrare il giubileo.


Eppure anche fra questi praticanti giubilari abbiamo trovato diversificazioni in termini di ortodossia e di eterodossia, più precisamente in termini di presa di distanza rispetto all’insegnamento ufficiale della Chiesa Cattolica.


Dopo vari tentativi di elaborazione statistica, si è rilevato che in sostanza i giubilanti venuti a Roma per l’anno 2000 si dividono in quattro grandi categorie:praticanti ortodossi, disaffiliati eterodossi, osservanti ortodossi, militanti eterodossi.


I “praticanti ortodossi” sono quelli molto interni, che vanno a messa anche tutti i giorni e che non cambiano neppure una virgola di quanto viene detto dal Magistero.


I “disaffiliati eterodossi” sono coloro che mantengono un riferimento generale al Cattolicesimo, non partecipano a nessuna associazione e, posti di fronte ad una domanda specifica, affermano perfino di non appartenere alla Chiesa cattolica, sebbene siano venuti a celebrare il giubileo a Roma.


Gli “osservanti ortodossi” (oltre il 50%) in tutte le lingue in cui abbiamo condotto le interviste sono sempre la maggioranza. Sono quelli della “religione diffusa”, che vanno a messa tutte le domeniche o quasi e che, in linea di massima, rispettano gli orientamenti generali della Chiesa.


I “militanti eterodossi” prendono posizione in modo netto soprattutto su questioni cruciali come l’omosessualità e, in misura di gran lunga minore, il “sacerdozio alle donne”.


Chi sono, dunque, gli italiani che sono andati a Roma nell’anno 2000? I dati della cluster analysis su tutto il campione mondiale mettono in rilievo una fortissima presenza degli Italiani.


Nel nostro campione, poiché conosciamo abbastanza bene gli italiani, abbiamo ridotto la loro quota ad appena il 38%: nonostante questo , nella cluster analysis risulta molto forte la presenza delle donne italiane, quasi a sottolineare che i veri pellegrini del giubileo sono state appunto le donne italiane con una partecipazione massiccia, significativa persino in un contesto internazionale.


Rispetto alle due dimensioni dell’ortodossia e dell’eterodossia la maggioranza degli italiani, uomini e donne, recatisi a Roma per celebrare il giubileo, rientra nella categoria degli ortodossi. Quindi non sono proprio impegnatissimi, militanti, ma persone dotate di una religiosità comune.


Occorre tenere presente che il dato complessivo dell’indagine, riguardante tutti gli intervistati delle varie nazionalità collocabili all’interno della categoria “osservanti ortodossi”, è del 56%, quindi di gran lunga più bassa di quello relativo agli italiani che costituiscono, per questa stessa categoria, il 10%.


Anche fra gli italiani, tuttavia, abbiamo quote non trascurabili che potrebbero contenere interessanti segnali per il futuro, come l’11,1% di “praticanti ortodossi”: quelli sempre legati alla parrocchia, che vanno a messa la domenica e anche nei giorni feriali, che si accostano alla confessione ed alla comunione, sono andati a Roma per il giubileo, si sono confessati ed hanno fatto penitenza.


I “disaffiliati eterodossi” (12,3%) giungono anche a dire di non appartenere alla Chiesa cattolica, tuttavia hanno celebrato il giubileo, pur conservando tutto il loro disaccordo con gli insegnamenti della Chiesa su alcune tematiche.


I “militanti eterodossi”(10,2%) sono quelli che anche in Italia non hanno apprezzato l’insegnamento della Chiesa in merito al gay pride; anzi, alcuni di essi dicono esplicitamente che le pratiche omosessuali sono da considerarsi non punibili.


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Data questa situazione, quali potrebbero essere le prospettive future del Cattolicesimo?


Una possibile risposta ci può venire dall’indagine condotta negli Stati Uniti da William D’Antonio, insieme con altri ricercatori.


Alla domanda: “Che cosa ritenete che sia veramente importante all’interno della Chiesa?” l’80%, dato di assoluta rilevanza, risponde: “Isacramenti, quali l’eucaristia e il matrimonio”.


Ma “che cosa rende peculiarel’appartenenza al cattolicesimo?”.


Qui le risposte si attestano attorno al divorzio e ad altre questioni simili. Non viene ritenuto elemento peculiare l’andare a messa la domenica, anche se questa pratica, negli Stati Uniti, è seguita da un’alta percentuale di fedeli. Molto più qualificante viene ritenuto, invece, il dar tempo e denaro ai poveri.


Un altro 49%, quindi metà del campione, afferma che i parroci fanno un buon lavoro: un giudizio di massima positivo.


Osservazioni di particolare pregnanza sono infatti legate al fatto che i leaders della Chiesa cattolica non sono in collegamento con il laicato.


Se osserviamo con attenzione il dato della “pratica religiosa” quello italiano si aggira attorno al 28-31%; negli Usa il 37% va a messa almeno una volta alla settimana; quindi quest’ultima è una percentuale più alta di sei punti rispetto all’Italia.


Ma particolarmente interessante è il segnale relativo alla “preghiera personale”.“Quando preghiregolarmente, a parte la messa?”Il 54% risponde: “Ogni giorno”. Ritengo che questo sia il risultato più rimarchevole di tutta l’indagine.


Va ricordato che Roma, definita città sacra, stando ai dati sulla pratica religiosa sembra essere, in realtà, la città più secolarizzata d’Italia, con dati di frequenza dichiarata alla messa intorno al 20% (ma in realtà si arriva probabilmente al 14-15%). Quando, però, andiamo a fare la domanda sulla “preghiera”, risulta che il 70% dei romani prega, così come più o meno si era verificato per il resto degli italiani. Letti, non in chiave teologica o pastorale, ma in chiave sociologica, questi dati dicono che ci sarebbe più religiosità fuori della Chiesa che dentro di essa.


D’altra parte la preghiera non è sottoposta a sanzione pubblica o a controllo sociale, come nel caso della messa in cui si può verificare se vi si è partecipato o meno.


La preghiera è un fatto personale cui nessuno è costretto, in quanto nessuno può effettuare controlli.


Siamo dunque di fronte a germi di religiosità latente, invisibile, ma ben diversa da quella detta “invisibile” ed ipotizzata da Luckmann.


Ma torniamo al libro di Diotallevi.


Il suo contributo dimostra che, in fondo, la religiosità italiana non è tutta meridionale, anzi proprio quella meridionale, semmai, per certi aspetti fa più problema.


Indubbiamente ci troviamo di fronte ad un lavoro che si connota per un aggiornamento inteso nello spirito conciliare del termine e cioè come “ripresa di questione e d’interesse” circa la situazione italiana.


Quello di Diotallevi è un approccio strutturale, statistico, da cui la religiosità emerge in modo complesso e composito. È un’analisi dei dati sciolta dall’ipoteca ideologica e tale da renderne immediata e chiara la comprensione.


Certamente potremmo discutere se quello che Luca Diotallevi ha costruito sia una sorta di “ecclesiosfera”, come la definirebbe Emile Poulat: L’eglise c’est un monde, la Chiesa è veramente un mondo, un mondo articolato, un po’ come la vetrata posta in copertina per il volume di Luca Diotallevi.


Sintesi dalla trascrizione della registrazione audiomagnetica.