Roberto Cipriani
Roberto Cipriani
PER UNA SOCIOLOGIA DELL’ESOTERISMO E DEL SATANISMO
Premessa
Il sociologo è abituato a lavorare sui fatti concreti, sui dati certi o tendenzialmente probabili ed almeno verosimili, comunque soggetti a verifica. Per questo vi è stata una certa ritrosia ad interessarsi di fenomenologie considerate poco realistiche, astratte, magari anche eccentriche oppure marginali. In verità proprio a queste datità occorrerebbe porgere attenzione in quanto preludono a sviluppi futuri e rappresentano comunque un indizio delle dinamiche in atto nella società.
In effetti finora i ricercatori sociali dediti allo studio dell’esoterismo, del satanismo, della demonologia, dei riti “neri”, della pubblicistica del terrificante e dell’oggettistica dello spavento sono stati considerati di solito essi stessi dei praticanti e degli aficionados di tali ambiti che fanno leva sul mostruoso, sul diabolico e sul ripugnante. Ma ancora una volta, alla stregua di Max Weber, c’è da chiedersi se bisogna avere orecchio per la musica e conoscere la musica onde poter studiare sociologicamente il dato musicale. Dunque anche nel caso dell’esoterismo e del satanismo la domanda si pone: il sociologo deve essere un esoterico o un satanista per poter condurre indagini sull’esoterismo e sul satanismo? La risposta è senz’altro negativa. Però una conoscenza diretta della realtà in esame è tuttavia necessaria. Il problema è stabilire il giusto equilibrio fra osservazione partecipante metodologicamente calibrata e partecipazione coinvolgente e fors’anche complice (pur indirettamente ed inconsapevolmente).
Gli esiti del rapporto fra ricercatore e situazione studiata possono essere diversi: una distanza assoluta dall’oggetto della ricerca; una relazione ben dosata con andamento ad elastico cioè con un’alternanza fra avvicinamento ed allontanamento; un’adesione pressoché totale al punto di vista dei soggetti analizzati, quasi come un transfert rovesciato; un’iniziale condivisione delle posizioni altrui seguita da un atteggiamento fortemente critico; un avvio fortemente connotato da pregiudizi e veri e propri giudizi di valore cui si contrappone in seguito una valutazione più pacata che giunge anche alla difesa dei diritti di libera espressione da riconoscere a soggetti nondimeno maturi e consapevoli; una partecipazione diretta ed un’osservazione scientificamente organizzata, senza ulteriori conseguenze sul piano comportamentale a livello personale. Insomma la complessità dell’oggetto di ricerca è speculare rispetto ai possibili approcci che è dato mettere in atto.
Sette o nuovi movimenti religiosi
Già nella definizione di un evento, di un fatto, di un episodio, di un rito e di un fenomeno sociale si possono rintracciare elementi di bias, cioè di distorsione, di propensione, di parzialità, che inficiano il lavoro sociologico. Si sa per esempio che dire “setta” significa di fatto esprimere un giudizio di valore giacché il termine si associa facilmente all’aggettivo “settario”. In effetti preferiscono parlare di setta coloro che si ritrovano invece nel corpo principale rispetto al quale gli altri, i separati, gli scissionisti, hanno preferito differenziarsi.
Invero la sociologia classica da Ernst Troeltsch (1949-60) e Max Weber (1977) in poi ha parlato esplicitamente e decisamente di sette. In particolare Weber notava che mentre nella chiesa in qualche modo si nasce nella setta invece si sceglie di entrare, pensando ad una forma associativa esclusiva, molto disciplinata, piuttosto rigorosa sul piano morale, una sorta di “conventicola” abbastanza esigente nel richiedere ai suoi membri il possesso di determinati requisiti. Troeltsch la pensava quasi allo stesso modo ma rilevava nella setta un maggiore misticismo (indifferente tuttavia a dogmi, sacramenti, principi etici), una certa separatezza dal mondo, insieme con una minore formalizzazione dei rapporti, ritenuti più spontanei; in particolare per lui la setta aveva le caratteristiche di un piccolo gruppo, che dipende dal contributo di tutti e che è in grado di autoformarsi al proprio interno senza relazioni con l’esterno, visto come ostile. In alcuni casi si giunge a quello che Becker (1932) definisce culto: legami intersoggettivi deboli, scarsa istituzionalizzazione, larga tolleranza. Ben diversa è la concezione di Bryan Wilson (1961) il quale obietta a Troeltsch che i membri delle sette non sono necessariamente poco numerosi e talora raggiungono livelli cospicui di appartenenze. Soprattutto Wilson si sofferma sul fatto che gli aderenti ad una setta hanno la possibilità di accogliere o respingere i nuovi affiliati, previo superamento di una prova d’ingresso per poter entrare a far parte del “noi” elitario, caratterizzato da regole la cui inosservanza comporta l’espulsione dal gruppo. Non è detto però che il mondo esterno venga sempre rifiutato, ricorda Wilson, anzi può essere accettato. Di straordinario interesse è infine la serie di possibilità che Wilson stesso intravede nell’interazione con il mondo: conversione (cambiamento interiore perché il mondo è malvagio); rivoluzione (cambiamento soprannaturale per poter poi cambiare il mondo); introversione (fuori della società c’è la salvezza); manipolazione (ci si salva nel mondo ma attraverso l’occultismo, l’esoterismo, la forza fisica, il potere, il denaro); taumaturgia (solo una forza soprannaturale può salvare dai mali del mondo); riforma (il suggerimento divino aiuta a vincere il male che c’è nel mondo); utopia (i principi religiosi possono rifare il mondo). Tutte queste modalità sono classificate come “reazioni non ortodosse al mondo”.
Da ultimo è Yinger (1970) che nelle sette enfatizza l’esclusivismo versus l’apertura, l’accettazione versus il rifiuto dei valori secolari, l’integrazione anche a livello nazionale che può condurre ad una “setta istituzionalizzata” a carattere autarchico.
Riferimenti bibliografici
Becker H. (1932), Systematic Sociology, Wiley, New York.
Troeltsch E. (1949-60), Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, La Nuova Italia, Firenze, 2 voll.
Weber M. (1977), Le sette e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano.
Wilson B. (1961), Sects and Society, Heinemann, London.
Yinger J. M. (1970), The Scientific Study of Religion, Macmillan, New York.