“Un pellegrinaggio al maschile: il caso polacco di Piekary”, in Prüfer, Slowiński (redakcja naukowa), Włoskie i Polskie Osobliwości. Relacja, Komplementarność, Integracja. Peculiarità italiane e polacche. Relazione, Complementarietà, Integrazione, Państwowa Wyższa Szkoła Zawodowa im. Jakuba z Paradyża, Gorzów Wielkopolski, 2014, pp. 165-97.

Roberto Cipriani


Un pellegrinaggio al maschile: il caso polacco di Piekary


di Roberto Cipriani (Università Roma Tre)


Abstract


2000 caratteri






Premessa


Per quale motivo in Polonia varie decine di migliaia di persone e soprattutto uomini partecipano ogni anno al pellegrinaggio (Cipriani 2012) che nell’ultima domenica di maggio ha come meta il santuario della Madonna di Piekary, patrona della diocesi di Katowice, la cui festa liturgica si celebra il 12 settembre?


Sono due le risposte immediatamente possibili: almeno in questa occasione pubblica i soggetti maschi vincono ogni rispetto umano, come si suole dire, e forti del gran numero di presenti si sentono ampiamente sostenuti – l’un l’altro – nell’esprimere la loro fede. In secondo luogo va sottolineato che l’Alta Slesia è fortemente connotata dall’industria estrattiva mineraria carbonifera e da quella siderurgico-metallurgica, che vedono all’opera principalmente il genere maschile. Orbene la vita di miniera non è tra le più facili e non è priva di rischi. Di conseguenza il ricorso ad un supporto soprannaturale diventa quasi una necessità per affrontare disagi estremi e pericoli continui, specialmente quando il lavoro non è debitamente protetto.     


Vi è però una ragione remota che rende speciale la chiesa di Santa Maria e di San Bartolomeo a Piekary, che dista da Katowice circa 20 chilometri, nell’Alta Slesia (Górni Śląsk). La sua prima costruzione risale al 1303 ed era in legno. La consacrazione avvenne nel 1318 e riguardò anche un quadro di Maria Vergine. Questa Madonna (o probabilmente un’immagine successiva risalente agli inizi del XVI secolo e messa in auge da un colto sacerdote, Jakub Roczkowski, che il 27 agosto 1659 la fece collocare sull’altare maggiore, anche a seguito di un certo odore di rose che – come si narra – sembrava promanare dall’icona posta su un altare laterale) è stata ritenuta miracolosa: infatti, invocata e portata in processione, liberò la regione da una pestilenza nel XVII secolo ed in particolare nell’anno 1676. Nel 1679 la parrocchia di Piekary venne affidata ai Gesuiti di Tarnowskie Góry (dove la peste si era particolarmente diffusa). Ed appena un anno dopo, sempre per debellare la peste, il quadro della Madre Maria di Piekary fu portato a Praga in processione, in tre quartieri, il 15 marzo 1680, su richiesta di Leopoldo I d’Absburgo, re di Ungheria e Boemia, Imperatore dal Sacro Romano Impero. La peste cessò. La Madonna venne chiamata Guaritrice e rientrò a Piekary accompagnata da ricchi donativi del sovrano. Lungo il percorso di rientro il quadro si fermò anche a Hradec Králové (ora nella Repubblica Ceca) dove la peste fu sconfitta ancora una volta (ma adesso la regione appartiene al cosiddetto triangolo nero con le tre frontiere di Polonia, Germania e Repubblica Ceca dove più alta è la polluzione per un ambiente fortemente deteriorato). Ancor oggi sia a Praga che a Hradec Králové si conservano copie della Madonna di Piekary. Ed è stato l’arcivescovo di Praga Jan Fryderyk Wallstein a definire miracoloso il quadro, già nel 1680. 


Si narra che anche il re-eroe polacco Giovanni III Sobieski abbia reso omaggio con moglie, figli e soldati ad una copia dell’icona il 20 agosto 1683, quasi alla vigilia della celebre battaglia di Vienna (12 settembre 1683) che fermò l’islam alle porte dell’Europa. Infatti il quadro originale della Vergine però era già stato trasferito ad Opole una prima volta, per timore dei Turchi ma poi rientrò a piekary. Quattro anni dopo fu la volta del re di Polonia Augusto II detto il Forte che, giunto il 13 luglio 1697, nel medesimo luogo sacro ormai divenuto un simbolo, alla presenza del vescovo Jerzy Kryspin confermò il 27 luglio la sua conversione al cattolicesimo. Anche il figlio Augusto III, suo successore come re di Polonia, ebbe a fermarsi a Piekary nel 1734 (e nel 1737?), lungo un suo viaggio a Cracovia.


L’immagine della Vergine Maria, che già nel XIV secolo si venerava nel territorio di Piekary, venne sostituita con un’altra icona il 31 luglio del 1702, allorquando il quadro originario venne trasferito ad Opole per ragioni di sicurezza (questa volta il timore era dovuto all’esercito protestante dei karoliner del re di Svezia, Carlo XII) e vi è poi rimasto. Per tale ragione si sviluppò dunque il culto verso il secondo quadro della Madonna di Piekary, tuttora punto di riferimento per il pellegrinaggio mariano maschile di fine maggio. La differenza tra le due raffigurazioni è data dal fatto che in quella di Opole mancano le due corone benedette da Pio XI, apposte (con mezz’ora di suono di tutte le campane della Slesia) il 15 agosto del 1925 (e rubate nel 1940 e nel 1984), rispettivamente sul capo della Vergine e su quello del Bambino, che peraltro guarda direttamente verso la Madre, mentre il divin fanciullo di Piekary ha uno sguardo più assorto, quasi assente, mentre regge un libro (Vangelo?) con la mano sinistra e rivolge la sua mano destra verso la Madonna, che presenta una mela, simbolo evidente del peccato originale (quest’ultimo dettaglio si ritrova anche nel quadro di Opole). A Piekary, inoltre, qualcuno intravede nel collo della veste di Maria, nella fibbia che regge il suo manto e nel divaricarsi dei lembi del mantello verso il basso un profilarsi di un calice, che il Bambino Gesù toccherebbe con la mano destra.


In seguito è stato Jan Nepomucen Aloysy Fiecek, vissuto dal 1790 al 1862, a promuovere al massimo livello possibile il culto di Piekary, insieme con alcune battaglie come quella contro l’alcolismo ed a difesa della dottrina cattolica (grazie pure all’uso diffuso dei mezzi di comunicazione a stampa). Fece chiudere 291 distillerie. Organizzò un movimento a livello parrocchiale di ben cinquecentomila persone. Non si è lontani dalla realtà se si sostiene che gran parte della tradizione e della ritualità coagulatesi attorno al santuario di Piekary abbia in lui il promotore per eccellenza ed un saggio organizzatore. Aveva sognato la realizzazione di una grande basilica: come modello pensava a quella della cattedrale rinascimentale di Tarnów, risalente al XIV secolo. Tra il 1841 ed il 1849 era riuscito a raccogliere 75000 talleri. Nell’agosto del 1849 la nuova chiesa venne consacrata.


Nel giugno del 1922 Piekary ed una parte dell’Alta Slesia sono tornate polacche. Ed il generale Stanisław Szeptycki con il suo esercito rese omaggio alla Vergine di Piekary il 22 giugno 1922 riprendendo una vecchia tradizione plurisecolare. Appena poco più di due mesi dopo, il 26 agosto dello stesso anno, fu la volta dello stesso maresciallo Jóseph Piłsudski, capo dello stato e comandante in capo. 


Una nuova incoronazione della Madonna, dopo quella del 1925 ad opera del nunzio apostolico arcivescovo Lorenzo Lauri (successore di Achille Ratti – ovvero del futuro Pio XI che ben conosceva Piekary – e creato cardinale nel 1926), è avvenuta nel 1966 ad opera del cardinale Stefan Wyszynski e poi del vescovo Herbert Bednorz.


Nel manifesto ufficiale del pellegrinaggio svoltosi nel 1985 venne presentata la Madonna di Piekary con all’intorno una scritta che la definiva “Madre di giustizia e amore sociale”, mentre in basso seguiva l’indicazione di “Pellegrinaggio maschile, Piekary + 26 V 1985”. Si può però immaginare che mentre il pellegrinaggio è di fatto diretto a Piekary in realtà l’intenzione è rivolta a ciò che ha rappresentato nel passato l’opera artistico-religiosa ora conservata ad Opole. In effetti quest’ultima era stata caratterizzata, a lungo, cioè almeno per qualche secolo, da una sorta di processo identitario collettivo per la difesa della lingua e della cultura polacca, a rischio di estinzione o comunque di emarginazione sia a motivo della Riforma protestante di matrice germanica sia a seguito della sottomissione politica dell’Alta Slesia alla Prussia di Otto Bismarck, senza contare peraltro che la regione è rimasta più volte spartita fra diverse potenze, segnatamente fra Boemia e Prussia ovvero fra cechi e tedeschi. In particolare dopo la fine della prima guerra mondiale e dunque dal 1919 la provincia rimase sotto la Prussia e fu suddivisa in due parti facenti capo a Opole (ovvero Oppeln in tedesco) e Katowice (Kattowitz in tedesco). La repressione tedesca (a partire dalla fine del 1939) nei confronti dei polacchi fu molto dura. Poi tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera del 1945 l’Armata Rossa sovietica fece il suo ingresso nell’Alta Slesia. Finita la guerra gli Accordi di Potsdam (2 agosto 1945) assegnarono la zona alla Polonia, cioè alla Repubblica Popolare Polacca. Venne creato il voivodato di Katowice poi trasformato nel 1999 in voivodato della Slesia.  


Si può ipotizzare che un così forte tentativo di recupero delle radici polacche costituisse una chiara espressione di rifiuto dello status quo sia sotto l’influenza sovietica, in anni più recenti, sia sotto la pregressa dominazione prussiana prima e tedesca poi ma anche boema, in anni più o meno lontani.


Emblematico in proposito è il contenuto del testo redatto da August Hlond (vissuto dal 1881 al 1948) – nominato nel 1922 dal papa Pio XI amministratore apostolico dell’Alta Slesia polacca, consacrato primo vescovo della diocesi di Katowice nel 1926 e divenuto poi primate di Polonia dal 1926 al 1948, fiero avversario sia del nazismo (per cui la Gestapo lo arrestò nel 1944) che del comunismo – in occasione dell’incoronazione della Vergine di Piekary, il 15 agosto 1925: “Popolo della Slesia, chiunque abbia la tua profonda fede deve andare a Piekary. Senza questo non si potrà mai capire l’anima né la vita religiosa. Potrà capire questo solo chi davanti all’altare miracoloso ha visto l’unione fra il quadro e se stesso. Perché Piekary è un pilastro sul quale la Provvidenza ha sostenuto la tua fede. Piekary è la fonte viva dalla quale la volontà della Madonna della Slesia sparge infinite grazie. Piekary è la tua gloria e il tuo tesoro, la tua tradizione e la tua santa necessità. Il quadro di Piekary guarda non solo dall’altare di marmo sul popolo della Slesia. Ha adornato ogni cosa della Slesia nelle cappelle lungo la strada, in ogni posto parla della fede e della vita di fede. In special modo illuminava le anime, svegliando i grandi pensieri santi. Così s’inginocchiavano davanti a questo altare generazioni, una dopo l’altra, e la Slesia di oggi s’inginocchia davanti a questo quadro pregando per la grazia sulla strada del suo cammino. A Roma il Papa l’ha consacrato con la sua mano e con il suo cuore e consegnato nelle mani del popolo della Slesia, al fine di credere nella sua amata patrona. Nel nome del Papa, nel suo nome, nel nome della storia e nel nome delle future generazioni. Nel santo tremore e con giuramenti sulle labbra incorona il popolo di Slesia la sua Madonna, perché la sua immagine tra i fumi delle fabbriche, le contrarietà della vita, illumina con la luce divina la via del Signore e ti indica la direzione”. 


Risulta evidente in questo breve testo un forte afflato religioso, di tipo tradizionale, fondato sull’idea che Piekary rappresenti un luogo unico, insostituibile della fede di quanti sono cittadini della Slesia. Quasi si potrebbe parlare di uno stretto connubio tra la fede di ciascuno ed il culto dovuto all’altare del santuario di Piekary, che è la tradizione per eccellenza, senza mezzi termini. E la continuità intergenerazionale è ribadita irrefutabilmente. Il Papa stesso è chiamato in causa per suggellare autorevolmente il sacro vincolo fra popolo della Slesia ed icona della Madonna. Ma alla fine non può non giungere il riferimento, il richiamo si direbbe, alle drammatiche condizioni ambientali, in cui domina il fumo delle fabbriche: un chiaro richiamo di natura ecologica ante litteram.


Sin dai tempi del Plebiscito dell’Alta Slesia svoltosi nel marzo del 1921 per stabilire i confini fra la Repubblica di Weimar e la Polonia era iniziato un intenso pellegrinaggio verso Piekary, con provenienze varie, certamente dalla Slesia e dalla Polonia in senso lato ma anche da Opole ed altri territori. Solo l’occupazione tedesca rallentò il flusso negli anni della seconda guerra mondiale, che registrarono anche il primo furto delle corone della Madonna e del Bambino di Piekary nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1940. Ma finita la guerra, in particolare dal maggio 1947 in poi, tutto riprese come prima e più di prima. I polacchi tornarono in massa a venerare la Madonna di Piekary.


A dire il vero, proprio così come l’antinazismo e l’anticomunismo hanno attraversato intere epoche storiche lo stesso si può dire dell’atteggiamento a favore della natura, della sua conservazione, del suo rispetto, della sua promozione. Se le omelie dei vescovi a Piekary già negli anni Ottanta insistevano sui disastri ambientali procurati dalla presenza di enormi cumuli di detriti, lasciati all’aperto dopo le lavorazioni post-estrazione dalle miniere, anche in tempi più vicini a noi, a ridosso dell’anno 2000, si sono ascoltate le medesime lamentele, nel corso delle omelie da parte dei celebranti il rito del pellegrinaggio maschile al santuario mariano di Piekary. Uno studio di E. Szymik (2004, 2002; Szymik, Norska-Borówka 2001) ha provato, in uno studio condotto fra aprile e maggio del 1995 ma pubblicato nel 2004, che il 19,8% di un campione di bambini di Piekary presenta un’elevata concentrazione di piombo nel sangue, accompagnata anche da gravi difficoltà di natura socio-economica, occupazionale e familiare 


In un discorso radiofonico del 31 maggio 1981 Giovanni Paolo II, buon conoscitore della realtà operaia della Slesia, si era rivolto ai pellegrini di Piekary: “Cari fratelli minatori riuniti come ogni anno nel pellegrinaggio alla vostra Madre a Piekary Slaskie. Ringrazio Dio che posso oggi rivolgervi questa breve parola, parola d’amore e di benedizione. Particolarmente adesso – che sono malato e grazie a Dio progressivamente sto ritornando alla salute e alle forze – è per me una vera consolazione di poter rivolgermi a voi, uniti nel pellegrinaggio a Piekary, a miei connazionali, a uomini del lavoro. Vi siete riuniti insieme con il vostro Vescovo, con il Cardinale, con i vostri Pastori. Vi siete riuniti in questa comunità che conosco così bene per mia esperienza e che porto profondamente nel mio cuore. Insieme con voi mi rendo conto come è eccezionale ed importante, proprio quest’anno, la vostra visita alla Signora di Piekary. Infatti questo è un anno in cui come ben sapete gli sguardi di tutto il mondo si sono rivolti sulla Polonia, per la ragione del programma di rinnovamento nato nelle difficili esperienze del lavoro umano. Del lavoro nell’industria, nelle miniere, nell’agricoltura e nelle altre professioni. Desidero insieme con voi, per così dire, riconfermare davanti alla Signora di Piekary proprio questo programma di rinnovamento e desidero insieme con voi affidarle questo programma: di tutto cuore, alla maniera filiale, polacca, come si fa in Slesia. Faccio questo nell’anno in cui la Chiesa Universale ricorda il 90° dell’enciclica Rerum Novarum del grande Papa delle questioni sociali, Leone XIII, dell’enciclica dedicata alla questione operaia, che mi permette di incontrare quest’anno i rappresentanti del mondo del lavoro delle diverse nazioni e continenti. Dio vi renda merito: a voi tutti miei connazionali per la memoria, per le preghiere, per l’amore, di cui ricevo tante testimonianze e che di tutto cuore contraccambio”. Si tratta di un intervento per nulla di prammatica. Pur nella brevità, il Papa polacco sa parlare ai cuori e va diritto ai problemi del lavoro minerario, industriale, agricolo. E ne ricorda la dimensione sociale, sulla scorta della ricorrenza legata alla celebre enciclica di Leone XIII sulla questione sociale. Sono poche parole ma che, nel contesto di Piekary ed in un momento in cui il movimento di Solidarność, appena nato a Danzica, nel 1980, è subito costretto alla clandestinità, danno forza ed incitamento ai pellegrini-operai ai piedi della Signora di Piekary. Anche Benedetto XVI nell’ambito di un suo discorso del 30 maggio 2005 ha voluto “abbracciare” i lavoratori pellegrini a Piekary.


Ma certamente l’intervento più significativo in assoluto è quello dello stesso Wojtyła, pellegrino a sua volta. Il testo meriterebbe di essere trascritto integralmente perché rappresenta una pietra miliare per capire il significato profondo che la Madonna di Piekary riveste per l’Alta Slesia e la Polonia tutta. Conviene però riportarne i passi più significativi, ai fini della nostra indagine retrospettiva sulla prima metà degli anni Ottanta, davvero decisivi per la Polonia, prima del 1989, termine spartiacque nella storia dell’Europa, per la caduta del muro di Berlino.


Ecco dunque alcuni passaggi-chiave: “Di tutto cuore vi ringrazio dell’invito a Piekary. Il mio pellegrinaggio a Piekary Slaskie, al Santuario della Madre di Dio nella diocesi di Katowice, ha una sua storia di molti anni. Come Metropolita di Cracovia venivo invitato a predicare la Parola di Dio nell’ultima domenica di maggio, quando si svolge l’annuale pellegrinaggio degli uomini e della gioventù maschile. Questo è un avvenimento speciale nella vita della Chiesa, non solo in Slesia, ma in tutta la Polonia. Giungono allora a Piekary uomini e giovani dalla vasta regione industriale, che oltrepassa i confini della Slesia di Katowice sia all’occidente, verso Opole, sia all’oriente, verso Cracovia. Oggi avviene lo stesso, solo che la cornice del pellegrinaggio si è ampliata. Non è più solo un incontro con gli uomini, ma è un incontro generale; do il benvenuto dunque e saluto di gran cuore tutti voi qui presenti, cari fratelli e sorelle: uomini e donne, gioventù maschile e femminile, tutte le famiglie. Attendevo questo incontro a Piekary sin dal 1978. L’attendevo con perseveranza e fiducia. E anche voi l’avete atteso con perseveranza e fiducia. E quando è divenuto possibile, si è visto che sul colle di Piekary non saremmo potuti starci tutti. E perciò si è dovuto trasferire Piekary a quest’aeroporto nei pressi di Katowice, ove ci troviamo. Per poter attuare l’odierno pellegrinaggio del Papa a Piekary è stato necessario che questa volta Piekary stessa partisse in pellegrinaggio! E così infatti è successo. Nell’ambito del Giubileo del sesto centenario di Jasna Gora, giungo oggi al santuario di Piekary, e la Madre di Dio mi viene benignamente incontro dal suo santuario. Quest’incontro ha preso la forma di una grande preghiera della Chiesa di Katowice. La preghiera continua sin dall’ultima domenica di maggio, da quando l’effigie della Signora di Piekary si è mossa per l’incontro odierno, visitando per strada le singole parrocchie. E oggi qui – in quest’aeroporto – sin dalla mattina continua la preghiera, che accompagna l’arrivo dell’effigie di Piekary Slaskie. Prima di tutto c’è la preghiera del Rosario, e insieme ad essa ci sono il canto, le letture e le meditazioni, secondo il programma previsto, stabilito e attuato con precisione tutta slesiana. Mi chiedo: dopo tante ore di preparazione in preghiera avete ancora abbastanza forza per ascoltare il Papa? Non siete troppo affaticati e stanchi? Tuttavia, il ricordo degli incontri antecedenti a Piekary mi dice che la gente della Slesia e, in genere, tutti gli uomini del duro lavoro di questa regione industriale non si stancano facilmente di pregare. Inoltre, sanno pregare in modo così “attraente” nella loro grande comunità, che la preghiera non li stanca. Può darsi che si allontanino dal loro santuario stanchi, ma non sfiniti, perché portano con sé le fresche risorse dello spirito nel duro lavoro quotidiano… Entro qui nella grande preghiera, che continua non solo fin dall’ultima domenica di maggio, non solo oggi sin dalla mattina, ma dura da generazioni, riempie ogni anno, ogni settimana e ogni giorno. Una volta – quando ancora non vi era la Slesia di oggi, ma già c’era l’effigie della Madre di Dio a Piekary – in questa preghiera si inserì il re polacco Giovanni III Sobieski, recandosi in soccorso di Vienna. Oggi io, Vescovo di Roma e al tempo stesso figlio della Nazione polacca, desidero inserirmi nella preghiera della Slesia odierna, che nell’effigie della Signora di Piekary fissa lo sguardo come nell’immagine della Madre della giustizia e dell’amore sociale. E perciò desidero anche prendere lo spunto per questa preghiera dal multiforme lavoro, che voi esercitate ogni giorno, quando – proprio in mezzo al lavoro – vi scambiate questo saluto: ‘Szczesc Boze!’ (Dio vi aiuti), ‘Szczesc Boze!’ (Dio vi aiuti). È così. Per arrivare fino alla radice stessa del lavoro umano – sia questo il lavoro nell’industria o quello della terra, la fatica del minatore, del metallurgico oppure di un impiegato, o l’affaccendarsi di una madre nella casa, o la fatica del servizio sanitario accanto ai malati – per giungere alla radice stessa di qualunque lavoro umano, bisogna rapportarsi a Dio: ‘Szczesc Boze!’ (Dio vi aiuti)… [Il Papa accenna anche alla sua enciclica Laborem exercens, pubblicata due anni prima] Quando al lavoro ci salutiamo vicendevolmente con la frase ‘Szczesc Boze’ (Dio vi aiuti), esprimiamo in questo modo la nostra benevolenza verso il prossimo che lavora, e al tempo stesso rapportiamo il suo lavoro a Dio Creatore, a Dio Redentore… Tutto questo contenuto così ricco viene racchiuso in queste due parole: ‘Szczesc Boze’ (Dio vi aiuti), che così frequentemente si odono in Polonia, e specialmente in Slesia. A Cristo, al Vangelo del lavoro, al mistero della Redenzione, ci accostiamo per Maria: proprio mediante Colei che, nel suo Santuario a Piekary, è unita ad intere generazioni di uomini del lavoro nella Slesia; proprio mediante Maria, che qui in Slesia invocate come Madre della giustizia e dell’amore sociale… Invocando Maria come Madre della giustizia e dell’amore sociale, voi, cari fratelli e sorelle, come lavoratori della Slesia e di tutta la Polonia, desiderate esprimere quanto vi stia a cuore proprio quell’ordine morale, che dovrebbe governare il settore del lavoro. Il mondo intero ha seguito, e continua a seguire con emozione, gli avvenimenti che ebbero luogo in Polonia dall’agosto 1980. La cosa che in modo particolare fece riflettere la vasta opinione pubblica fu il fatto che in questi avvenimenti si trattava prima di tutto dell’ordine morale stesso riguardante il lavoro umano, e non solo dell’aumento del salario. Colpì anche la circostanza che questi avvenimenti erano liberi dalla violenza, che nessuno subì la morte o ferite per essi. Infine anche il fatto che gli eventi del mondo polacco del lavoro degli anni Ottanta portavano in loro il segno nettamente religioso. Nessuno può dunque meravigliarsi che qui in Slesia – in questo grande ‘bacino di lavoro’ – si veneri la Madre di Cristo come Madre della giustizia e dell’amore sociale… Su questo sfondo acquistano una giusta eloquenza quei diritti, che riguardano direttamente il lavoro compiuto dall’uomo. Non entro nei dettagli, nomino solo i più importanti. Prima di tutto, il diritto del giusto salario, giusto, cioè tale che basti anche per il mantenimento della famiglia. Poi, il diritto all’assicurazione in caso di incidenti sul lavoro. E ancora il diritto al riposo (ricordo quante volte abbiamo toccato a Piekary la questione della domenica libera dal lavoro). Alla sfera dei diritti dei lavoratori si unisce anche il problema dei sindacati… In questo spirito mi sono pronunciato nel mese di gennaio del 1981 durante l’udienza concessa in Vaticano alla Delegazione di Solidarność accompagnata dal Delegato del Governo polacco per i contatti permanenti di lavoro con la Santa Sede. E qui, in Polonia, il Cardinale Stefan Wyszynski disse: ‘Si tratta del diritto ad associarsi degli uomini; non è questo un diritto concesso da qualcuno, poiché è un proprio diritto innato. Perciò questo diritto non ci è dato dallo Stato, il quale ha soltanto il dovere di proteggerlo e sorvegliare che esso non venga violato. Questo diritto è dato dal Creatore, che ha fatto l’uomo come un essere sociale. Dal Creatore proviene il carattere sociale delle aspirazioni umane, il bisogno di associarsi e di unirsi gli uni con gli altri’ (Stefan Wyszynski, Discorso, 6 febbraio 1981). Così, dunque, carissimi, la questione che è in atto in Polonia nell’arco degli ultimi anni possiede un profondo senso morale. Essa non può essere risolta diversamente, che sulla via di un vero dialogo dell’autorità con la società. A tale dialogo l’Episcopato polacco ha chiamato molte volte. Perché i lavoratori in Polonia – e, del resto, dappertutto nel mondo – hanno diritto ad un tale dialogo? Perché l’uomo che lavora non è soltanto uno strumento di produzione, ma anche un soggetto, che in tutto il processo della produzione ha la precedenza davanti al capitale. L’uomo, mediante il suo lavoro, diventa il vero gestore del banco di lavoro, del processo del lavoro, dei prodotti del lavoro e della loro distribuzione. È disposto anche alle rinunce quando si sente un vero cogestore e può influire sulla giusta distribuzione di ciò che si è riuscito a produrre insieme…Perciò rivolgiamo la nostra ardua preghiera alla Madre della giustizia sociale, affinché ridia il senso al lavoro, lavoro di tutti gli uomini in Polonia. Al tempo stesso invochiamo Maria come Madre dell’amore sociale…  L’amore è più grande della giustizia. E l’amore sociale è più grande della giustizia sociale. Se è vero che la giustizia deve preparare il terreno all’amore, allora la verità ancora più grande è che solo l’amore può assicurare la pienezza della giustizia. Bisogna dunque che l’uomo sia veramente amato, se devono essere pienamente assicurati i diritti dell’uomo. Questa è la prima e la fondamentale dimensione dell’amore sociale.


La seconda dimensione è la famiglia. La famiglia è anche la prima ed essenziale scuola dell’amore sociale. Bisogna far di tutto, affinché questa scuola possa rimanere se stessa. Al tempo stesso, la famiglia deve essere talmente forte di Dio – cioè dell’amor reciproco di tutti coloro che la formano – da saper rimanere un baluardo per l’uomo in mezzo a tutte le correnti distruttive e le prove dolorose. Un’ulteriore dimensione dell’amore sociale è la Patria: i figli e le figlie della stessa Nazione permangono nell’amore del bene comune, che attingono dalla cultura e dalla storia, trovando in esse il sostegno per la loro identità sociale, e insieme fornendo questo sostegno al prossimo, ai connazionali. Questa cerchia dell’amore sociale ha un particolare significato nella nostra esperienza storica polacca, e nella nostra contemporaneità. L’amore sociale è aperto verso tutti gli uomini e verso tutti i popoli. Se esso si forma profondamente e solidamente nei suoi anelli fondamentali (l’uomo, la famiglia, la patria), allora supera anche l’esame in un ambito più vasto. Così, dunque, cari partecipanti all’odierno incontro nella Slesia, accettate ancora una volta dal vostro connazionale e successore di Pietro in questa nostra grande comunità il Vangelo del lavoro, e accettate il Vangelo della giustizia e dell’amore sociale. Che esso ci unisca profondamente intorno alla Madre di Cristo nel suo santuario a Piekary, così come ha unito qui intere generazioni. Che esso si irradi ampiamente sulla vita degli uomini del duro lavoro in Slesia e in tutta la Polonia. Ricordiamo ancora tutti i lavoratori defunti, coloro ai quali sono occorsi incidenti mortali nelle miniere o negli altri luoghi, coloro che recentemente hanno perso la vita nei tragici avvenimenti. Tutti. Ci attende, per noi che viviamo, un grande sforzo morale legato al Vangelo del lavoro: lo sforzo che mira a introdurre nella vita polacca la giustizia e l’amore sociale. Sotto il segno di Maria – con il suo aiuto! Per questo sforzo e per questa fatica: ‘Szczesc Boze’ (Dio vi aiuti)!”


Commentare un intervento così lucido, preciso, chiaro, senza concessioni e senza compromessi, risulterebbe persino superfluo. Ma almeno alcuni punti-chiave vano segnalati: Piekary per la questione del lavoro è un centro essenziale di riferimento e di promozione sociale e religiosa insieme; la Madonna dell’omonimo santuario ha radici ben ramificate in tutta la cultura della Slesia e dell’intera nazione polacca; lo snodo famiglia-lavoro-religione è il fulcro di gran parte della religiosità rilevabile in Polonia, anche ora dopo la fiammata del novennale legato all’esperienza di Solidarność dal 1981 al 1989; di recente qualche calo si è registrato nella pratica religiosa ma gli eventi principali dell’anno liturgico e della tradizione storica hanno tuttavia una notevole influenza; la cosiddetta Chiesa ufficiale (dal Papa, ai vescovi, ai sacerdoti) è ben consapevole di molte problematiche che inficiano la società e lo stato, ma anche le istituzioni e la comunità ecclesiale stessa: dalla pericolosità di taluni lavori alla mancata osservanza di alcune precauzioni per la gestione dell’ambiente, da certe forme accentuate di capitalismo (magari mascherato da forme statali) alla scarsità di risorse fondamentali per l’accesso ai beni comuni, ed altro ancora. Il richiamo, più volte citato da Giovanni Paolo II, è quello di una formula di saluto, espressione quotidiana, ripetuta, dunque quasi inconsapevolmente innervata nelle persone e nei loro atteggiamenti e comportamenti: ‘Szczesc Boze’ (Dio vi aiuti)! Questo ritornello-mantra svolge un ruolo di rinforzo che rinnovato all’ennesima potenza diventa parte dei soggetti che lo pronunciano e che testimoniano così la loro credenza e la loro appartenenza. Ovviamente anche durante il pellegrinaggio a Piekary tale refrain torna più volte sulle bocche dei pellegrini e risuona ancor più nei loro cuori ovvero nella loro memoria storica.


La Polonia invero pullula di santuari: tutt’intorno a Piekary vi sono quelli di Turza (tempio dedicato alla Madonna di Fatima), Panewniki (basilica e monastero francescano), Skoczów (cappella della fine del XVI secolo dedicata al Ritrovamento della Santa Croce e grande croce su una collina, visitate da Giovanni Paolo II nel 1995), Kończyce Małe (santuario di Nostra Signora di Kończyce, la quale presenta un fiore di tarassaco), Pszów (basilica della Natività della Beata Vergine Maria ovvero santuario di Nostra Signora Sorridente), Bogucice (quadro della Madonna delle Grazie, Signora di Katowice, incoronata nel 2000, nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano martire), nel villaggio di Lubecko (chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, santuario mariano con l’immagine della Madonna di Częstochowa) vicino Lubliniec (di cui è patrona Santa Edith Stein, ovvero la suora carmelitana Teresa Benedetta della Croce, cui sono dedicati una chiesa ed un museo; c’è anche una chiesa dell’Esaltazione della Santa Croce). 


Rappresentazioni pittoriche della Madonna con mantelli di tipo maforion (indossato sopra la tunica, copre anche il capo), simili a quello di Piekary (con orlatura dorata e colore smeraldo scuro), sono conservate a Rudy (dove il mercoledì giungono i pellegrinaggi a piedi diretti al santuario dell’immagine miracolosa di Nostra Signora Umile, basilica minore dal 2009 e abbazia gotica cistercense dal 1259) e Doudleby nad Orlicí (chiesa dedicata alla Vergine Maria, nel confinante territorio della Repubblica Ceca). 


Il 21 giugno 1896 fu inaugurato il Calvario, ovvero la Via Crucis, consacrante il cardinale Georg von Kopp. La sua costruzione fu un’idea del reverendo Jan Fiecek, pellegrino in Terrasanta da dove trasse ispirazione, senza però riuscire a vedere completata la sua opera, che venne iniziata da padre Bernard Purkop e proseguita da Władisław Schneider. Neanche un altro curatore dell’iniziativa, padre Leopold Nerlich – morto nel 1894 -, ne vide la conclusione. L’insieme comprende 20 stazioni della via dolorosa e 15 cappelle del rosario.          


Bibliografia


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