Premessa
Achille Ardigò era nato il primo giorno di marzo dell’anno ventunesimo del secolo ventesimo, dunque in una data che si potrebbe dire tutta “trinitaria” perché racchiusa nei soli primi tre numeri, l’uno (del giorno e dell’ultima cifra dell’anno), il due (della decina dell’anno e della prima cifra del secolo) ed il tre (del mese). Questo, a ben pensarci, potrebbe sembrare un segno quasi provvidenziale, specialmente se riferito ad un credente radicale e pasionario della fede cristiana come lui. Gli aspetti cabalistici premonitori e confermativi non si limitano però a questo. Anche la data (10.09.08) ed il luogo della sua morte (la casa di cura “Toniolo” a Bologna) hanno qualcosa di singolare, quasi a voler sottolineare il carattere fuori dell’ordinario del soggetto in questione: i numeri relativi al decimo giorno del nono mese dell’ottavo anno del nuovo secolo e del nuovo millennio hanno un carattere dapprima discendente (dal 10 all’8) e poi ascendente (dall’unità, alle decine, alle centinaia, alle migliaia), insomma quasi una metafora della morte e rinascita-resurrezione, abbastanza in linea con la profonda confessionalità del personaggio; inoltre la sede del suo decesso è in una casa di cura intitolata proprio al nome di un sociologo, Toniolo, da lui tanto amato e studiato sin dal “periodo clandestino”[1], soprattutto attraverso il Trattato di economia sociale, finito di pubblicare nel 1921 (guarda caso nello stesso anno della nascita di Ardigò, per cui non si può non pensare ad una sorta di apertura e chiusura del cerchio che sembra partire appunto dall’opera di Toniolo e concludersi in una clinica bolognese intitolata con il cognome medesimo del sociologo).
In altri termini nel vissuto e nel profilo ardigoano sono chiaramente delineati, magari pure attraverso segnali indiziari reconditi, esoterici, i caratteri di un suo “mondo vitale” (Lebenswelt) non disgiunto altresì da un’esperienza vitale (Lebenserfahrung),quotidiana ed allo stesso tempo metaquotidiana, umana e metafisica (non a caso egli amava citare il kantiano “cielo sopra di me”), che in definitiva appare anche quale testimonianza dell’esperienza vissuta (Erlebnisbericht).
Il laburista cattolico ed il sociologo umanista
Alberto Papuzzi nel ricordare la figura di Ardigò su La Stampa[2]dice che “la sua visione è stata considerata una sorta di laburismo di sponda cattolica”. L’accostamento al laburismo, invero, non trova riscontri in altri interventi della pubblicistica commemorativa del settembre 2008 né in riflessioni più calibrate e motivate, succedutesi in tempi più recenti, sulla figura e l’opera del sociologo bolognese, padre e maestro della sociologia d’impronta cattolica, ora più nota e divulgata come “sociologia per la persona”.
Indubbiamente però vi è del vero nell’ipotesi definitoria di Papuzzi, tenuto conto soprattutto dell’afflato con cui il Nostro si è dedicato alle questioni del welfare state, dei servizi sociali, delle problematiche sanitarie, dell’intervento dello stato a favore delle classi sociali più disagiate, seguendo una linea di pensiero che secondo gli schemi dell’ormai obsoleta tradizione correntistica democristiana si sarebbe definita morotea, anche in considerazione della frequentazione ardigoana di Aldo Moro.
Ma è nello stesso ambiente di matrice ecclesiale che aveva avuto luogo la formazione iniziale, giovanile e di giovane adulto di Achille Ardigò, portaordini partigiano, militante politico, intellettuale della sinistra democratico-cristiana. La sua filiazione culturale e religiosa è da legare anche, ma non solo, all’“umanesimo integrale” di Jacques Maritain. Qualcuno sostiene invece che sia piuttosto Mounier all’origine di quello che si può etichettare probabilmente piuttosto come umanismo, quasi con un legame carsico, neppure esplicitato, con la sociologia umanistica statunitense di William Thomas, già autore, con il polacco Znaniecki, di quella che è ritenuta un’opera fondamentale del pensiero sociologico: lo studio su Il contadino polacco in Europa e in America.
Il cosiddetto laburismo di Ardigò si è tradotto essenzialmente in un servizio all’interesse pubblico, con la ricerca di soluzioni nuove, aggiornate, adatte alle esigenze segnatamente del settore sanitario. Non a caso in una sua lettera del 1997 così mi scriveva: “Grazie per l’augurio: ‘non dà… molti segni di stanchezza’. Purtroppo consumato dal mio impegno nella sanità, avrei tanto desiderio di una qualche rimpatriata con lei e altri cari amici”. Da oltre tre anni, esattamente dal 1994, Achille Ardigò era Commissario Straordinario degli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna, dove stava cercando di portare cambiamenti sostanziali, organizzativi e tecnologici, sempre in un’ottica rispettosa del paziente e con l’obiettivo di rendere l’azione pubblica più efficiente e soprattutto più sensibile alle istanze dei sofferenti.
Egli operava con una straordinaria lucidità e con una forte consapevolezza delle problematiche lavorative e sindacali insite in una grande struttura ospedaliera. In fondo era la medesima lucidità cartesiana con cui affrontava i temi sociologici più ardui, parlando “a maglie strette”, cioè fitte, ricche di concetti. Il suo ricorso a “sintesi fulminanti” ne faceva un interlocutore ostico perché preparato, difficilmente superabile sul piano dell’elaborazione teorica, ben memore delle battaglie ideologiche e contenutistiche già affrontate nell’ambito della Federazione Universitaria Cattolica Italiana e nel Movimento Laureati di Azione Cattolica, attraverso le pagine della rivista Cronache Sociali come pure sui temi cari al dossettismo.
Già nel 1961, in pieno convegno democristiano a San Pellegrino, egli aveva segnalato ed enfatizzato l’apertura a sinistra ed il messaggio derivante dalla Mater et Magistra di Giovanni XXIII. Del resto era reduce dall’esperienza amministrativa bolognese con Dossetti dal 1956 – anno del celebre Libro bianco su Bologna – sino al 1961.
In seguito sempre più si andava manifestando una vena mistica, che avrebbe portato Dossetti al monachesimo ed Ardigò ad un ancor più intenso coinvolgimento nel campo del sociale e della professionalità sociologica accademica e scientifica. Divenuto poi primo presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia, Ardigò aveva come sua fonte d’ispirazione san Giovanni della Croce e per questo soleva ripetere di sé e dei suoi più affezionati allievi e colleghi: “noi mistici”. Tuttavia la prospettiva mistica non impediva ad Ardigò una partecipazione all’agone politico, dapprima sostenendo e poi criticando Cofferati come sindaco della sua città.
Per Ardigò, inoltre, la teoria del soggetto era anche di fatto un approccio rispettoso del soggetto ovvero della persona. Non a caso gli era cara la figura di Edith Stein, insieme con il suo concetto di empatia, intesa come condivisione e compartecipazione totale. Sul piano metodologico poi non disdegnava misurarsi con l’ambivalenza, con l’ambiguità delle tecniche e delle misurazioni.
In campo religioso, il suo umanismo lo portava ad essere strenuo difensore dei documenti e dei messaggi dottrinali e pastorali prodotti dal Concilio Ecumenico Vaticano II ed insieme sostenitore del grande evento della rivelazione divina nel cristianesimo. Da quest’ultimo egli derivava il suo misticismo praticato con fede granitica.
Lo stesso vissuto personale di Ardigò ha lasciato il segno, non diversamente da quanto è avvenuto per Aldo Moro, suo principale referente politico e partitico ed ora intestatario dell’università barese in cui aveva insegnato: ad Ardigò è stato infine intitolato il “suo” Dipartimento di Sociologia nell’università bolognese.
Il suo laburismo, per restare nella scia della suggestione di Papuzzi, era comunque inteso e propsto come un’alternativa al marxismo e soprattutto al craxismo, nei suoi anni di maggior vigore e presenza. Nel contempo, invero, Ardigò non risparmiava neppure alcuni uomini di Chiesa, di cui non condivideva l’impostazione, si chiamassero Ratzinger o Caffarra, Biffi o Ruini.
In campo ecclesiale come nel settore della tecnologia, infatti, egli guardava piuttosto al futuro e non certo al passato. Per questo portava i sociologi italiani a visitare la neonata Technopolis, voluta dal professor Dioguardi non lontana da Bari, ed incitava i suoi collaboratori degli Istituti Rizzoli di Bologna a guardare all’innovazione, al telesoccorso, alla medicina telematica. Ardigò peraltro è notoriamente legato alla nascita del CUP 2000, il Centro Unificato di Prenotazione sanitaria, che oggi annovera servizi quali il medico-on-line.
Proteso a voler cambiare il mondo che lo circondava, Achille Ardigò poco si curava degli aspetti economici. Dimenticava persino i rimborsi-spese che gli erano dovuti a seguito dei numerosi viaggi per conferenze in varie sedi lontane da Bologna. Non si è certo arricchito, pur avendo gestito ingenti somme. Del resto viveva in un condominio fuori dal centro storico bolognese. Nel suo appartamento, l’unica concessione ad una certa vistosità era concentrata in qualche mattonella in maiolica dipinta (a mo’ di tappetino d’ingresso); raccontava: “l’ho fatta fare quando ho vinto il concorso da ordinario”.
Aveva dato tanto alla sua città, ma Bologna non gli è stata molto grata o almeno non fino al punto che il suo sociologo più noto meritava. Ardigò aveva seguito passo dopo passo le vicende bolognesi del PCI e del PD, della Chiesa diocesana e dell’università statale, assumendo sovente ruoli chiave nella strategia cittadina.
Il suo volto, la sua statura e la sua voce di “eterno bambino” lo rendevano ben percepibile in qualunque consesso. Era stato un resistente al fascismo ma anche al dottrinarismo ecclesiale, un uomo di Chiesa ma altresì di partito, un promotore dell’agire sociale ma pure della mistica.
Inventore e propagatore della sociologia sanitaria in Italia, aveva fatto di Bologna un centro di eccellenza con la sua Scuola di sociologia sanitaria, alimentata anche dall’esperienza che aveva condotto alla creazione del Servizio Sanitario Nazionale, del Comitato di Difesa del Malato, della rivista Salute e società.
Conclusione
Si potrebbe definire Ardigò un manager della solidarietà, in cui confluiscono l’orientamento laburista (ma forse il termine non è del tutto adeguato) e la cura per la persona. La sua cultura classica di base (era laureato in lettere) lo metteva in condizione di avere e di promuovere un rapporto empatico con le persone e con le cose (tecnologia compresa). Era costantemente all’avanguardia: nel campo dell’informatica aveva capito anzitempo l’importanza di Java e già da tempi remoti era abituato a mandare fax via computer (come può ben testimoniare qualche allievo o collega). Ma soprattutto va sottolineata la sua tempra morale, che non scadeva a facile moralismo. Il suo era un atteggiamento di fondo, avverso al malaffare e contrario agli esibizionismi volgari, ma in grado di gestire questioni etiche complicate (ivi comprese quelle relative al divorzio ed all’aborto, con prese di posizione che non gli hanno certo giovato nel mondo cattolico).
La sua grande passione di studioso e di credente militante ne faceva un profeta non utopico ma realizzatore. Rifuggiva dal vuoto astrattismo teorico e pensava alla concretezza della realtà, dell’operare, dell’intervento sul territorio e nel campo della politica. Per questo teneva tanto ai suoi mondi vitali, di derivazione husserliana, nei quali profondeva il suo rigore e la sua sincera e convinta adesione di cristiano, non timoroso, non asettico, ma capace di affrontare l’avventura del nuovo, del diverso, dei “segni dei tempi” da cogliere.
A Bologna – non va dimenticato – aveva confronti difficili da affrontare: con il comunismo e con gli intellettuali del gruppo de Il Mulino, con la sua Chiesa diocesana e con la corporazione accademica. Non sempre è stato capito, ma questo ai profeti capita.
Ai suoi compagni di cordata in campo religioso ricordava sovente la necessità di un esercizio adeguato della laicità e del ruolo dei laici e congiuntamente lamentava che si attribuisse uno spazio eccessivo alla compagine degli “atei devoti”. Ovviamente le sue esternazioni comportavano conseguenze. Infatti se nel 2004 aveva partecipato alle “Settimane Sociali” dei cattolici tenute a Bologna sul tema dei poteri, successivamente si è trovato a dover dire: “sono anni che non vengo più invitato ai convegni cattolici”. Eppure Ardigò era stato un protagonista di primo piano di quel mondo. Con Scoppola e Gorrieri era stato nella “Lega Democratica” nel 1975. Aveva promosso la presenza cattolica nel cosiddetto terzo settore, nel volontariato. Aveva creduto nell’esperienza politica detta dell’Asinello. Aveva fiducia in Arturo Parisi, anch’egli sociologo, cattolico e bolognese come lui e molto vicino a Romano Prodi.
Ardigò con il suo “ragionar parlando” ha fatto tutto il possibile per far crescere in ogni ambito la partecipazione dal basso, la consultazione permanente della base, il riformismo derivante dal coinvolgimento pieno dei cittadini. Non a caso concludeva nel 1999 un suo articolo sulla rivista Coscienza (n. 6, p. 36) scrivendo “cominciamo a parlarne tra noi, che ve ne pare, amici di Coscienza?”. Si discuteva del passaggio del millennio, nei cui riguardi diceva di viverlo “con il solito relax, non privo di noia” (p. 35), il che faceva il paio con la “stanchezza con cui, persino nella Chiesa, reagiamo alla tumultuosità dei disordinati cambiamenti e innovazioni e non solo dei disastri che rendono il mondo sempre meno leggibile”. E qui veniva poi fuori a chiare lettere il tema dell’umanismo: “la Chiesa è contaminata, aggiungo io, dalla caduta della cultura umanistica” (Ivi). Nondimeno la speranza restava e prefigurava “che il mondo possa diventare come villaggio globale. Un villaggio che potrebbe anche essere aperto all’ecumenismo e come tale foriero di vita spirituale”.
Achille Ardigò conosceva bene anche le dinamiche dell’informazione globalizzata ed avvertiva la necessità di contrastare il centralismo burocratico per ridare invece libertà alle scelte personali. E dunque immaginava una net devolution “dedicata” fra l’altro al governo della salute pubblica, anche per evitare (insieme con Rifkin) che la tecnologia divorasse i valori: “dobbiamo misurarci con le nuove tecnologie affrontando sperimentazioni di prassi che combinino in ambivalenza nuove tecnologie ed esercizio della coscienza morale, personale ed interpersonale, verso valori di equità, di umanizzazione e di capacità di empowerment della persona umana sulle strutture” (Coscienza, 6, 2000, p. 5).
Bibliografia
C. Cipolla, S. Porcu (a cura di) (1997), La sociologia di Achille Ardigò, Milano, Franco Angeli.
[1] Ne parla espressamente Giovanni Pellicciari, intervistato da Andrea Bassi e Tommaso Cavallaro. Cfr. A. Bassi, T. Cavallaro (a cura di), Traccia per un percorso biografico di Achille Ardigò, in C. Cipolla, S. Porcu (a cura di), La sociologia di Achille Ardigò, p. 377.
[2] A. Papuzzi, Ardigò il laburista cattolico, «La Stampa», 11.09.2008, p. 36.