Chiesa e Stato in Italia, oggi

Abstract

A tre lustri di distanza dalla prima ed unica (almeno sinora) indagine completamente dedicata al fenomeno religioso in Italia, per di più sulla base di un campione realmente statisticamente rappresentativo dell’intero territorio nazionale, non è agevole rendere conto della situazione odierna relativa alla Chiesa cattolica in Italia. Sono molte le dinamiche sociologiche intervenute nel frattempo a livello sociale, politico, economico e culturale, nonché attitudinale e comportamentale, che andrebbero debitamente analizzate ed interpretate. I rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano registrano una fase di stallo. I proventi dell’otto per mille rappresentano un punto di discussione sia nei modi di acquisizione che nella distribuzione. Ma sullo sfondo restano i valori di riferimento degli italiani che permangono religiosamente orientati.

1. Premessa

A tre lustri di distanza dalla prima ed unica (almeno sinora) indagine completamente dedicata al fenomeno religioso in Italia, per di più sulla base di un campione realmente statisticamente rappresentativo dell’intero territorio nazionale[1], non è agevole rendere conto della situazione odierna relativa alla Chiesa cattolica nel nostro paese. Sono molte le dinamiche sociologiche intervenute nel frattempo a livello sociale, politico, economico e culturale, nonché attitudinale e comportamentale, che andrebbero debitamente analizzate ed interpretate[2].

2. Chiesa cattolica e Stato italiano

Un punto cruciale che condiziona il tipo di presenza del cattolicesimo in Italia è rappresentato dall’esistenza di un apposito accordo istituzionale, in forma codificata e legittimata, fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Ernesto Galli Della Loggia ha scritto in proposito che la storia dello Stato italiano «appare troppo inestricabilmente intrecciata alla vicenda del Cristianesimo e della Chiesa romana perché sia realmente plausibile immaginare un reciproco disinteresse, una reale indifferenza dell’una rispetto all’altra all’insegna dell’unilateralità»[3]. La formula pattizia risale all’epoca del fascismo, in data 11 febbraio 1929, ma è stata recepita anche nell’articolo 7 della costituzione italiana della repubblica, nata dopo la fine del secondo conflitto mondiale, e ribadita successivamente con l’Accordo del 18 febbraio 1984, auspice il governo presieduto da Bettino Craxi. La legge 222 del 1985 veniva poi a dare un sostegno decisivo alla Chiesa cattolica attraverso la destinazione delle somme provenienti dall’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.

Nelle complesse vicende che hanno accompagnato il declino del socialismo craxiano prima e l’avvento di Berlusconi e di Forza Italia poi, in buona misura erede dei voti già democristiani, un peso rilevante ha avuto la presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, in particolare sotto la gestione ultraquindicennale (1991-2007) del cardinale Camillo Ruini, vicario del Papa per la diocesi di Roma. Quest’ultimo ha di volta in volta cercato ulteriori appoggi da parte del governo italiano su questioni di varia natura. Al termine del suo lungo mandato, la Segreteria di Stato del Vaticano ha voluto avocare a sé la competenza diretta per gli affari italiani, anche in forza delle normative vigenti che vedono come interlocutore la stessa Santa Sede e non certamente la conferenza nazionale dei vescovi.

Anche nella prospettiva affacciatasi più di recente, con l’ipotesi della costituzione di un centro partitico-politico di marca cattolica, l’influenza del Segretario di Stato vaticano non appare secondaria. Venuto meno, per molteplici ragioni, l’affiancamento rispetto alla coalizione governativa berlusconiana, si pensa ora a nuovi scenari, resi probabili da un prevedibile esaurirsi dell’esperienza in corso, per cui si immagina la possibilità di un recupero di un ruolo specifico dei cattolici in campo politico.

Alcuni eventi di questi ultimi tempi comproverebbero l’esistenza di operazioni tese a sganciarsi dal carro degli ex-vincitori per trovare invece nuove soluzioni di convenienza. Ma nell’incertezza del momento i passi sono cauti, prudenti, in attesa di sviluppi più chiari.

Nel frattempo alcuni intellettuali cattolici stanno promuovendo azioni di rivisitazione storica di alcuni fatti del passato: dalle crociate all’inquisizione, dalla rivoluzione francese al risorgimento italiano. L’obiettivo è una rivalutazione dell’azione della Chiesa e dei cattolici in generale, in relazione ad avvenimenti strategici nella storia dell’Italia cattolica.           

Si riapre a questo punto l’annosa diatriba sulla laicità dello Stato e della politica, già riemersa in modo diffuso in occasione del centenario della legge francese del 1905, che aveva portato a molti espropri di beni ecclesiastici ed all’abolizione di vari benefici a favore della Chiesa cattolica. Su questo tema ho già avuto modo di intervenire, per cui mi limito a ribadire una mia lettura della questione in termini sintetici: «la stessa religione fornisce strumenti analitici e definitori per distinguere sacro e secolare, anima e corpo, sentimento e ragione, spirituale e temporale, ragion per cui le soglie di laicizzazione sono facilmente rinvenibili e praticabili come punti-limite, per evitare invasioni di campo, colonizzazioni, espansioni indebite. Ma d’altro canto lo stato laico proprio perché tale non può negare diritto di cittadinanza alle varie esperienze religiose dei suoi cittadini. L’autonomia del soggetto non può non stare a cuore allo stato, chiamato invece ad allontanare quanto possa arrecare danno. Nessun rappresentante di uno stato democratico può negare ai cittadini-membri il diritto alla credenza (o alla non credenza) religiosa. Per non dire poi di quello che una o più religioni possono rappresentare per la storia di un paese come la Francia (od anche la Germania e l’Italia), in relazione alla conservazione dell’appartenenza territoriale e della memoria locale. All’orizzonte c’è una prospettiva che contempla non più la strumentalizzazione o la mera contrapposizione ma una possibile sinergia, nel rispetto reciproco, fra stato e religione/i»[4].

Posta una premessa formulata in tali termini c’è da chiedersi fino a che punto sia laica un’attività di lobby esercitata da gerarchie ecclesiastiche nei riguardi dello Stato ed in particolare del suo governo. E soprattutto vale la pena di domandarsi se le carenze delle formazioni partitico-politiche giustifichino l’intervento diretto di una Chiesa (cattolica e non) nelle questioni di gestione della struttura statale, nell’attività legislativa, nell’accesso alle risorse pubbliche. Se anche è reale l’incapacità delle culture politiche italiane di affrontare in modo adeguato la complessa e delicata querelle sull’autonomia dello Stato e su quella delle Chiese organizzate, che diritto ha una specifica struttura religiosa di occupare anche il ruolo che spetta di diritto e di fatto alla sua controparte statale?

Che la religione cattolica sia la religione diffusa per eccellenza in Italia è indubitabile[5] ma un conto è riferirsi a dei valori che orientino l’agire nella sfera pubblica un altro conto è l’iniziativa mirata su esponenti del governo, per ottenerne vantaggi normativi ed economici.     

Il discorso si allarga poi ad altri ambiti, per i quali si richiede un orientamento preciso ed operativo: dalla presenza del crocifisso nelle scuole al finanziamento delle scuole private, dal riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa al diniego dell’eutanasia, dal rifiuto dell’aborto all’opposizione nei riguardi dell’inseminazione artificiale e di altre sperimentazioni genetiche.

Il tutto peraltro è accompagnato da una scarsa dimestichezza del popolo cattolico con la teologia, con la dottrina sociale della Chiesa, con le problematiche scientifiche di maggio rilievo. Il che lascia ampio spazio all’agire dei vertici ecclesiastici che per un verso perdono consenso fra la base ecclesiale e per un altro verso cercano presso gli attori politici un credito che però di fatto viene usato strumentalmente in una sorta di scambio politico-elettorale: da una parte si chiede appoggio per mettere a segno qualche risultato legislativo o per ricevere qualche sovvenzione economica, dall’altra si domanda il favore di organizzazioni, strutture ed associazioni d’impronta cattolica in occasione di scadenze elettorali.

Sintomatico è il rapporto, per esempio, con il partito della Lega Padana, che ricorre a simbologie neo-pagane ma non disdegna la non belligeranza della Chiesa cattolica. Fra l’altro è da immaginare una certa pressione del partito padano per quanto concerne pure le nomine dei vescovi, che si auspicano ben legati al territorio, insomma padani in Padania. Esemplare è quanto sostiene Renzo Guolo, un sociologo che è un profondo conoscitore e dell’immigrazione islamica in Italia e della realtà leghista, in particolare di Treviso: «città di forte tradizione cattolica, dove la Dc aveva le stesse, altissime, percentuali di consenso  che oggi ha la Lega,la Chiesa è sempre stata vicina ai più deboli. Così è stato sul fronte degli immigrati e della libertà di culto per i musulmani. Scelte che hanno provocato a partire dalla metà degli anni novanta un duro scontro con la Lega. Uno scontro che ha visto il Carroccio contrapporsi ai cosiddetti “preti rossi”, un ossimoro politico che i leghisti hanno coniato per stigmatizzare i sacerdoti più impegnati su quel versante. Sacerdoti che sono stati difesi strenuamente dal loro vescovo; almeno sino a quando la Lega è diventata forza di governo nazionale e vi è stato un mutamento della guida episcopale. Si è giunti così a una sorta di tacito compromesso, ispirato alla realpolitik, che ha profondamente diviso il mondo cattolico locale. Un compromesso che sul piano nazionale vede la Chiesa guardare oggi al carroccio come a un partito affidabile sul piano dei “valori non negoziabili”, in particolare sul terreno della bioetica e della famiglia»[6].

Più problematico è il rapporto con il Partito Democratico (nato il 14 ottobre 2007), dal quale si sono staccati alcuni esponenti cattolici, fra cui la parlamentare Paola Binetti, ma che ha visto pure una cattolica, Rosy Bindi, alla sua presidenza. Il dialogo avviato in tempi ormai lontani fra Enrico Berlinguer, segretario dell’allora Partito Comunista Italiano, ed il vescovo di Ivrea, monsignor Luigi Bettazzi, non ha avuto sviluppi degni di nota. Politici cattolici hanno militato nei Democratici di Sinistra e nella Margherita (fino al 2007) ma per ragioni personali o per limitazioni poste dalle rispettive segreterie politiche non hanno avuto un impatto rimarchevole, almeno a livello diffuso. Così il dialogo fra mondo cattolico e sinistra politica è parso interrompersi. Si può dire, invero, che neppure tra i vertici vaticani ci sia stata una particolare attenzione, che invece non è mancata – sia pure a corrente alternata, per qualche intemperanza del premier Berlusconi – nei confronti di Forza Italia prima e del Popolo della Libertà poi. Segnatamente negli ultimi anni ne è stato protagonista lo stesso cardinale Tarcisio Bertone, nella sua veste ufficiale di Segretario di Stato del Vaticano. Ma anche altri hanno dato man forte: si pensi a monsignor Rino Fisichella, dapprima rettore della Pontificia Università Lateranense e poi presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ora con l’avvento di papa Francesco e la nomina di un nuovo Segretario di Stato qualcosa potrà cambiare ma, presumibilmente, non di molto.

3. L’adesione religiosa dell’otto per mille

L’accordo stipulato nel 1984 con lo Stato italiano ha dato adito alla Chiesa cattolica di acquisire risorse importanti, specialmente grazie alla legge successiva, promulgata nel 1985, sul cosiddetto otto per mille. Tale operazione ha dato indubbiamente linfa vitale alle strutture ecclesiastiche italiane, che se ne sono giovate ampiamente, come mostrano le cifre e segnatamente l’andamento sostanzialmente costante delle entrate a loro favore.

L’entrata in vigore della normativa approvata non è stata immediata ma ha avuto inizio nel 1990, allorquando per la prima volta si sono contate le scelte operate dai contribuenti italiani tra le opzioni possibili, che elencavano, fra l’altro, sia lo Stato che la Chiesa cattolica.

L’andamento nel corso degli anni è stato altalenante, con incrementi e decrementi di volta in volta, senza che si potesse individuare una chiara linea di tendenza a lunga gittata, ma in linea di massima si è registrata una discreta tenuta dei flussi. Però fare ora delle previsioni per quanto concerne l’immediato futuro rischia di essere fallace. Giova comunque tenere presente la dinamica del numero delle firme (o, meglio, delle quote percentuali riconosciute dallo Stato) in favore della Chiesa cattolica, di anno in anno:

Tab. 1

QUOTE COMPLESSIVE* DELL’8‰ PER LA CHIESA CATTOLICA

AnnoQuote per la Chiesa cattolica % *Differenza in aumento (+) o in diminuzione (-) rispetto all’anno precedente
199076,17=
199181,43+
199284,92+
199385,76+
199483,60
199583,68+
199682,56
199781,58
199883,30+
199986,58+
200087,17+
200187,25+
200288,83+
200389,16+
200489,81+
200589,82+
200686,05

* Va considerato che l’ammontare delle somme attribuite

deriva dalle firme effettivamente apposte ma anche dalla ridistribuzione in percentuale

della quota parte non assegnata (per mancanza di firme).

Pertanto il numero reale di firme per la Chiesa cattolica

è di fatto inferiore alle percentuali indicate in tabella.

Fonte: Elaborazione su Comunicazioni dello Stato italiano alla Conferenza Episcopale Italiana

Le opzioni in forma di firma a favore della medesima Chiesa hanno segnato un costante aumento in percentuale dal 1990 al 1993 e dal 1998 al 2005, mentre riduzioni – rispetto all’anno immediatamente precedente – si sono registrate negli anni 1994, 1996 e 1997, nonché nel 2006. Se si prescinde dalle percentuali, gli anni per così dire in sofferenza, per minori entrate, sono il 1997, il 1998, il 2000, il 2004, il 2006 ed il 2009. Riesce difficile stabilire le ragioni di tali riduzioni, legate probabilmente a fattori piuttosto contingenti (per esempio, sia durante il pontificato di Giovanni Paolo II che quello di Benedetto XVI si sono registrati talora qualche calo talora qualche incremento). Forse la differenza di risultati può derivare anche dal tipo e dal contenuto della campagna pubblicitaria effettuata a livello di mezzi di comunicazione di massa oppure da eventi internazionali, nazionali e persino locali che possono aver condizionato le scelte.   

Un dato, anche se imprecisato (non si hanno informazioni chiare e puntuali al riguardo), resta comunque certo: il numero dei contribuenti che sceglie con apposita firma l’attribuzione dell’otto per mille alla Chiesa cattolica non si attesta sulle percentuali complessive fornite ufficialmente e dallo Sato italiano e dalla Chiesa cattolica. Verosimilmente si è ben al di sotto delle percentuali che danno un tasso costantemente superiore all’80%: il numero effettivo delle firme è di qualche decina di punti percentuali in meno, comunque meno della metà (per esempio nel 2004 le dichiarazioni dei redditi sono state 40.316.692, di cui 16.290.418 ovvero il 40,40% avevano una scelta valida relativa all’otto per mille ripartita tra Chiesa Cattolica, Stato, Chiesa evangelica valdese, Unione delle comunità ebraiche italiane, Chiesa evangelica luterana in Italia, Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno, Assemblee di Dio in Italia). Insomma la Chiesa cattolica in Italia non gode di consensi straripanti, come lascerebbero invece intendere le cifre messe a disposizione ed una loro ulteriore elaborazione.

Particolarmente utile è la tabella 7.1 predisposta da Cartocci[7] sulle scelte dell’otto per mille. I dati provengono da Monsignor Mauro Rivella, sottosegretario della Conferenza Episcopale Italiana, e si riferiscono al 2004. Un’ulteriore elaborazione della tabella offre un quadro più dettagliato sulla ripartizione delle firme, anche in termini percentuali effettivi.

Tab. 2

FIRME E SCELTE VALIDE DELL’OTTO PER MILLE NEL 2004

DestinatarioDichiarazioni I.R.PE.F. presentateFirme considerate come scelte valide% delle firme considerate come scelte valide  sul totale delle dichiarazioni presentate% delle quote assegnate sul totale dell’otto per mille
Chiesa Cattolica 14.628.79536,28,446889,8
Stato 1.254.3623,11,12517,7
Chiesa evangelica valdese 228.066  0,57,56831,4
Unione delle comunità ebraiche italiane 65.1620,16,16240,4
Chiesa evangelica luterana in Italia 48.8710,12,12170,3
Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno 32.5810,08,08120,2
Assemblee di Dio in Italia 32.5810,08,08120,2
Totale40.316.96216.290.418 (16.480.730*)40,4100,0

* comprese 190.312 scelte non valide

In conclusione la maggioranza dei contribuenti italiani non ha preso affatto in considerazione la possibilità di scelta offerta con l’otto per mille ma in pratica ha favorito sensibilmente i destinatari cui non avrebbe voluto assegnare alcuna somma: sono 23.836.232 i soggetti che non hanno fatto alcuna opzione sull’otto per mille e costituiscono più della metà (59,12%) dei dichiaranti l’imposta sui redditi delle persone fisiche (I.R.Pe.F.). .

Semmai è da tenere presente anche quanto ha sostenuto Giancarlo Zizola, commentando il lavoro di Cartocci: «la Chiesa che affiora da questi grafici è una grande e gloriosa istituzione fortemente stanca e assopita sulla propria potenza burocratica, ma che è coinvolta suo malgrado in un processo di mutazione storica dovuta più ancora ai cambiamenti sociologici e culturali che ai problemi interni dell’istituzione»[8].       

4. Conclusione

Sulla scorta di una pluridecennale esperienza di portata nient’affatto secondaria, è possibile tracciare qualche linea guida di analisi globale della situazione attuale della Chiesa cattolica in Italia.

Innanzitutto va detto che si tratta di una struttura primaria, a livello di radicamento sul territorio, di capacità organizzativa spesso a costo zero o quasi, di forza d’impatto nelle azioni educative, formative e socializzatrici, di ramificazione in vari campi dell’intervento sociale, di patrimonio personale, culturale e sociale, di tradizioni, norme comportamentali, valori diffusi e modelli dell’agire individuale e collettivo, di know how nella carità, nell’assistenza, nella cura, nella protezione, nonché di mobilitazione delle masse su obiettivi strategici. Tutto ciò non risulta immediatamente evidente ma alla prova dei fatti si riconoscono conseguenze ed origini.

Rispetto al passato, sono numerosi i laici (cioè i soggetti non istituzionalmente organici e schierati) in grado di dire la propria, di prendere la parola, di assumersi la responsabilità – soprattutto pubblica – su questioni delicate ed incerte.

Sempre più soggetti laici subentrano in ruoli che in passato erano esclusivi del clero. E lo fanno con competenza ed autonomia di giudizio e di azione. Hanno avuto modo di capire forme e contenuti delle attività pastorali e socio-religiose e dunque intervengono a ragion veduta, riuscendo a far giungere il messaggio religioso persino in comparti un tempo lontani e refrattari.

Si tratta di un movimento, quello laicale, ancora minoritario, marginale ed emarginato, ma si notano i prodromi di sviluppi significativi, a mano a mano che vengono occupate e mantenute le posizioni in cui si fanno le scelte decisive.     

La crisi delle vocazioni ecclesiastiche non consente al vecchio establishment di tutto preordinare, gestire, sovrintendere e condizionare. Le aree operative sono numerose e talora inarrivabili da parte dei ministri del culto cattolico che dunque si devono affidare al supporto dei laici.

Anche la preparazione teologica dei laici è in crescita. Alcuni di loro hanno metodi e strumenti tali da renderli indipendenti dal ricorso alla consulenza degli ecclesiastici ed anzi tali da metterli pure a confronto diretto, paritario, senza timori reverenziali e con ricchezza di argomenti e prove (specialmente testuali, tratte dai libri sacri). Ciò potrà produrre tra non molto una teologia cattolica laica ben più attrezzata scientificamente e più capace nella dialettica argomentativa.

La stessa crisi delle vocazioni al sacerdozio, riscontrabile non sempre e non dappertutto, non impedisce di far uso di selezioni più attente per quanto concerne i candidati all’esercizio del ministero religioso. Le sfide del mondo moderno e post-moderno richiedono qualità adeguate per affrontare temi e problemi quasi sempre ostici, difficili da capire, condizionati da approcci globali che fanno smarrire il senso dell’appartenenza ad una terra, ad un luogo, ad una collettività. In prospettiva dunque si potrebbe avere un clero meno numeroso, ma più qualificato, più abituato allo studio ed all’approfondimento.

Se la duplice sfida del laicato e del clero avrà risvolti almeno in parte positivi è immaginabile che il ruolo della Chiesa cattolica in Italia non subirà molti contraccolpi nell’immediato futuro.


Roberto Cipriani, Università Roma Tre, Dipartimento di Scienze della Formazione (insegnamento di Sociologia), via Milazzo 11b, 00185 Roma, rciprian@uniroma3.it

[1] Cfr. Vincenzo Cesareo, Roberto Cipriani, Franco Garelli, Clemente Lanzetti, Gianfranco Rovati, La religiosità in Italia, Milano, Mondadori, 1995.  

[2] Un utile contributo alla comprensione di quanto è avvenuto nel corso dell’ultimo quindicennio proviene anche dalla storia delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, tracciata da Carlo Felice Casula, il quale – attraverso approfondite interviste a tre presidenti nazionali delle ACLI succedutisi nel periodo in considerazione – fa intravedere quasi in filigrana quella che è l’atmosfera sociale di una serie di anni piuttosto intensi per lo sviluppo economico e culturale del paese, in una chiave che congiunge insieme varie storie: quelle dei partiti e dei sindacati ma anche quelle delle istituzioni civili e religiose: cfr. Carlo Felice Casula, Le ACLI una bella storia italiana, Roma, Anicia, 2008.

[3] Ernesto Galli Della Loggia, Quando il papa non fu più prigioniero, «Il Corriere della Sera», 6 febbraio 2009.

[4] Roberto Cipriani, Laicità e religione nella sfera pubblica, «Rivista lasalliana», 77, 1, gennaio-marzo, 2010, pp. 439-463, in particolare pp. 24-25.

[5] Cfr. Roberto Cipriani, La religione diffusa. Teoria e prassi, Roma, Borla, 1988.

[6] Rosy Bindi, Renzo Guolo e Gian Enrico Rusconi in dialogo con Giancarlo Bosetti, La conversione della Lega, «Reset», Maggio/Giugno 2011, pp. 83-88, in particolare pp. 87-88.

[7] Roberto Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, Bologna, il Mulino, 2011, p. 118.

[8] Giancarlo Zizola, Benvenuto nel Paese che ha smarrito la fede “tradizionale”, «la Repubblica», 7 luglio 2011, p. 35.