Abstracts
Maria Isaura Pereira de Queiroz, a Brazilian socio-anthropologist and pupil of Roger Bastide, is well known for her ethno-anthropological studies of indigenous and popular cultures. Her research on the carnival of Salvador de Bahia, cangaceiros, peasants and messianisms remains fundamental.
Keywords: anthropology, cangaço, popular culture, carnival, peasants
María Isaura Pereira de Queiroz, socio-antropóloga brasileña y alumna de Roger Bastide, es conocida por sus estudios etno-antropológicos de las culturas indígenas y populares. Su investigación sobre el carnaval de Salvador de Bahía, los cangaceiros, los campesinos y los mesianismos sigue siendo fundamental.
Palabras clave: antropología, cangaço, cultura popular, carnaval, campesinos
La figura di Maria Isaura Pereira de Queiroz, socio-antropologa brasiliana, allieva di Roger Bastide, è ben nota per gli studi etno-antropologici sul terreno delle culture indigene e popolari. Restano fondamentali le sue ricerche sul carnevale di Salvador de Bahía, sui cangaceiros,sui contadini e sui messianismi.
Parole chiave: antropologia, cangaço, cultura popolare, carnevale, contadini
Premessa
Il 26 agosto 2018 sono trascorsi cento anni dalla nascita della sociologa e antropologa Maria Isaura Pereira de Queiroz, allieva di Roger Bastide, vincitrice del Premio Jabuti nel 1967 e del Premio Almirante Álvaro Alberto del Consiglio nazionale delle ricerche brasiliano (Cnpq/Mcti), nonché cattedratica dell’Università di São Paulo del Brasile e direttrice del Centro studi rurali e urbani.
Al termine di un mio periodo d’insegnamento presso l’Universidade de São Paulo (Usp), negli anni Novanta, mi venne fatto omaggio di un libro fotografico sul sertão, la vasta regione semiarida del Nordeste del Brasile. A donarmelo fu proprio Maria Isaura Pereira de Queiroz, che mi accennò alla singolare bellezza di quel territorio. In verità sulle prime non ne compresi sino in fondo l’importanza. Ora a distanza di tanti anni ho finalmente potuto capire in pieno la rilevanza storica, culturale ed ecologica di quella vasta zona che molti considerano come la vera culla del Brasile, il sertão appunto.
Tale considerazione da parte di molti cittadini del Nordeste ma anche di altre regioni non è solo di tipo sentimentale, tesa a ipotizzare radici mitiche, leggendarie, in un particolare contesto geografico. Ormai è accertato anche scientificamente che in effetti in quella medesima area ebbero ad abitare – molto tempo prima della “scoperta” dell’America e dello stesso inizio dell’era cristiana – i primi brasiliani, alcuni dei quali furono autori di una serie di graffiti rupestri che l’archeologa Niède Guidon (nata nel 1933) ha messo in luce e valorizzato, anche attraverso il suo insegnamento presso la parigina École des hautes etudes en sciences sociales, istituzione presso la quale pure la nostra Maria Isaura è stata dì casa per molti anni.
Il sertão dunque si può considerare quasi il luogo di nascita dell’antico homo brasiliensis (ma anche della donna). Inoltre sempre il sertão è 1’ambiente entro il quale ha origine e si diffonde il fenomeno del cangaço che tanta parte ha avuto nella storia brasiliana soprattutto negli anni dal 1870 al 1940.
1. I cangaceiros
Nella collana Anthropos diretta da Vittorio Lanternari (il noto autore di Movimenti religiosi di libertà e salvezza dei popoli oppressi) è apparsa nel 1993 la traduzione italiana di un volume di Maria Isaura Pereira de Queiroz dal titolo I cangaceiros. I banditi d’onore brasiliani (Liguori Editore, Napoli, traduzione di Laura Ferrarotti).
Direi che non si tratta di un testo accademico nel senso pieno del termine. Le note a piè di pagina sono minime, ridotte veramente all’essenziale. Il linguaggio è semplice, didascalico, persino divulgativo, usufruibile anche da un lettore non necessariamente colto, tipico frequentatore delle biblioteche municipali a consultazione rapida e con scaffali accessibili al pubblico (un modello, questo, abbastanza diffuso in Brasile, com’è facile constatare anche a Marilia, sede universitaria, dove le opere della nostra Autrice sono ben presenti).
La stringatezza del discorso non è però indice di superficialità, giacché alcuni passi proprio nella loro forma sintetica sono allusivi, hanno il carattere di una voce da enciclopedia, asciutto, breve ma ricco di contenuti, di rinvii, di sottintesi, frutto comunque di approfondimenti previi. Forse un po’ dispiacerà – a qualche studioso abituato diversamente – la mancanza di sviluppi ulteriori di idee e ipotesi appena affacciate, di interpretazioni solo avviate, di problematiche sollevate e non del tutto risolte. Il discorso resta come sospeso, vago, non definito una volta per sempre. È la prudenza tipica dello scienziato serio, rigoroso, che sa bene come in futuro possano esservi altri dati più circostanziati, meglio convincenti, probanti in misura maggiore.
Del resto non deve costituire un problema la scelta tutta isauriana di porre le ipotesi alla fine e non all’inizio del rapporto di ricerca. In realtà per lei sono i dati a parlare e a fornire piste ipotetiche. Così la sua metodologia sembra collimare con la grounded theory (la teoria a base-dati) di Strauss e Glaser, i quali espungono del tutto le ipotesi dal loro percorso d’indagine, volgendosi al solo esame delle risultanze empiriche.
Se però le ipotesi giungono solo al termine è anche vero che l’epilogo del volume della Pereira è ricco di osservazioni su molteplici aspetti, ognuno dei quali meriterebbe un capitolo monografico: dall’industrializzazione alla leadership, dall’economia del caucciù ai sistemi ereditari, dall’igiene sociale all’espansione demografica, dalla mobilità ai rapporti (e conflitti) parentali e familiari, dalla stratificazione sociale all’urbanizzazione.
Invero il nodo centrale è stabilire il carattere del banditismo impersonato dai cangaceiros. Si tratta dì un banditismo sociale?
No, risponde l’Autrice: è piuttosto un fatto di onore (offeso e da riparare, in pericolo e da difendere). E neppure c’è nulla a che vedere con il celebre Robin Hood.
Peraltro non è il caso di paragonare i cangaceiros con i cow boys. Differenze sostanziali si registrano anche in un eventuale confronto con esempi italiani: con il bandito siciliano Salvatore Giuliano, attivo nella prima metà del secolo scorso, o con Michele Pezza, detto fra’ Diavolo, vissuto tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento.
Tuttavia non mancano elementi di somiglianza fra quest’ultimo personaggio e quello di Lampião: entrambi sono sospettati di aver stretto un patto diabolico per rimanere invincibili; il primo fu a capo dei briganti calabresi nell’insurrezione del cardinal Ruffo, mentre il secondo su richiesta di padre Cicero capitanò i suoi cangaceiros contro la Coluna Prestes (un gruppo di rivoltosi dell’esercito); l’uno fu pure colonnello di Ferdinando di Borbone, l’altro fu nominato capitano dell’esercito federale brasiliano; fra’ Diavolo trovatosi in difficoltà si ritirò nella regione dell’Abruzzo, Lampião braccato ebbe a rifugiarsi in quella del Raso da Catarina; da ultimo, il brigante italiano fu preso ad Avellino e impiccato a Napoli, Lampião fu ucciso ad Angicos, dopo di che la sua testa venne trasportata a Santana do Ipanema, mostrata dinanzi alla chiesa principale del paese e poi condotta nella capitale della provincia, a Maceiò, e infine a Salvador. Fin qui le possibili affinità tra i due; è difficile trovarne ancora.
D’altra parte del tutto improponibile è il paragone tra il banditismo del cangaço con la mafia. È vero che c’è in comune il sistema dell’onore, nondimeno le diversità sono abissali, incomparabili fra loro.
L’Autrice quasi sussurra un’ipotesi: «non siamo lontani dal bandito corso». Ma limitarsi a dire questo non basta. Occorrerebbero prove più salde, ben al di là di un semplice spunto.
2. Altre interpretazioni
L’approccio di Maria Isaura al cangaço può definirsi un tipico prodotto di una sociologia della conoscenza applicata alle diverse fortune, letture, percezioni del fenomeno storico di cui sono protagonisti i banditi di onore. La sua periodizzazione di tali ricezioni appare fondata, convincente.
Anche le falsificazioni degli eventi, le idealizzazioni dei personaggi (da Antonio Silvino a Corisco) e le costruzioni sociali delle diverse leggende legate ai cangaceiros tornano utili per capire la reale portata di una dinamica storica che è durata più di due terzi di secolo.
La conclusione della socio-antropologa di São Paulo è che il cangaceiro è un fuorilegge perché agisce contro la legge, però allo stesso tempo egli è proteso verso la creazione di una nuova legge, più rispettosa dei singoli e sovvertitrice dell’ordine vigente. Ecco perché Lampião e i suoi sarebbero dei rivoluzionari. Dico “sarebbero” in quanto il fenomeno è assai più complesso di quello che possa apparire. Se esso nasce in un quadro contestativo della realtà e dell’ingiustizia, strada facendo assume altri connotati che non escludono motivazioni meno nobili, contraddittorie, incomprensibili talora (basti pensate al mutevole agire di Lampião ora generoso, ora spietato).
Colpisce particolarmente la compresenza di violenza e delitti insieme con una forte carica di religiosità: i cangaceiros hanno delle loro preghiere (in parte modificate), credono in Dio, coltivano la religione, venerano i santi, rispettano e ascoltano i sacerdoti e intanto ammazzano.
Come spiegare tutto questo?
Forse si può tentare di mettere in campo qualche spiegazione, come vedremo in seguito.
Per il momento è sufficiente considerare 1’emblematicità di questa doppia contingenza: pietà religiosa e spietatezza comportamentale. In proposito non si può fornire uno schema interpretativo omogeneo, senza sfilacciature. Occorre un sano realismo alla maniera di Maria Isaura: ognuno (cangaceiro o meno) costituisce un mondo a sé, con le sue diverse sfaccettature. E dunque Lampião può essere in pari tempo coraggioso e timoroso, rispettoso e sprezzante, tenero e sbruffone, democratico e dispotico. Infatti, per esempio, a volte egli attacca senza timore e allo scoperto, a volte se la batte in ritirata più o meno strategica.
3. Influenze
Certamente la Nostra ha subito una forte influenza da parte di Roger Bastide ma ha anche avuto la capacità di prescindere dal suo modello di riferimento, costruendone uno suo proprio, che ha offerto spunti e suggestioni ad una cospicua schiera di seguaci, specialmente donne, che costituiscono quasi una scuola.
Del tutto assente è invece la traccia di un altro antropologo francese che ha lavorato in Brasile: Claude Lévi-Strauss. Il suo strutturalismo le è apparso troppo complesso, poco interessante e – quel che più conta – inefficace sul piano scientifico.
Maria Isaura preferisce piuttosto la soluzione di un’indagine non paludata, ma non per questo meno seria.
Segnatamente la sua indagine sui cangaceiros risulta rimarchevole in quanto analizza soggetti ed eventi abbastanza singolari, poco noti e mal compresi.
È uno studio fuori del seminato solito del messianismo, ma in continuità metodologica con altri saggi della medesima Autrice.
In definitiva sì può dire che è un volume da cui molto si apprende, soprattutto se non lo si recensisce con fraintendimenti madornali (come di fatto è accaduto in qualche caso).
4. La religiosità nel cangaço
Si diceva dunque della contraddizione fra religiosità e violenza dei cangaceiros. Ma di che tipo di religiosità si tratta? Ed è forse diversa da quella dei coroneis (colonnelli) loro avversari?
La risposta non è agevole, anche perché vi è una forte carenza di documenti scritti, che rendono impossibile una ricostruzione precisa di eventi e comportamenti.
Si può altresì sostenere che la religiosità di Lampião e compagni sia solo una supposizione priva di fondamento o meglio una credenza popolare a carattere mitologico. Se anche così fosse, la natura della discussione non cambierebbe di molto, in quanto rimarrebbe comunque il dato di fatto di un sentire religioso che permea la cultura del popolo brasiliano. E dunque come non pensare che essa abbia influenzato gli stessi cangaceiros? Nondimeno, al di là della situazione concreta, non è possibile trascurare la valenza di una costruzione sociale che nasce dal basso e si diffonde a macchia d’olio sino a coinvolgere altre classi sociali e molte espressioni artistico-culturali (dalla letteratura alla scultura, dal disegno alla poesia, dalla musica alla pittura).
Ma procediamo con ordine e seguiamo la metodologia stessa di Maria Isaura, partendo cioè dai dati, punto per punto:
1 – il primo elemento concerne, non a caso, il cappello di Lampião. Su di esso risultano attaccate due medaglie d’oro con la scritta «che il Signore sia la tua guida». Si può obiettare che le medaglie non appartenessero sin dall’origine al bandito. Sia pure così. Perché allora collocarle in bella vista, se esse non hanno alcun significato per chi le mostra? Dunque se ne deve dedurre che Virgulino Ferreira ossia Lampião intendeva esplicitare anche in tal modo la sua fede religiosa;
2 – appartiene alla cultura sertaneja il ricorso a pratiche previsionali relative alle possibilità di pioggia nei mesi a venire. La sera del 12 dicembre si pongono all’aperto sei mucchi di sale (che rappresentano nell’ordine i mesi da gennaio a giugno). L’indomani il mucchio o i mucchi sciolti indicheranno il mese o i mesi durante i quali pioverà. Questa modalità divinatoria non sarà stata del tutto estranea alla prassi comportamenta1e dei cangaceiros, così legati – in termini di sopravvivenza – alle condizioni socio-ambientali del sertão;
3 – particolare rilievo assume nella cultura del cangaço il compadrío (comparatico) battesimale, ricordato anche nella festa dei fuochi di San Giovanni. Il compadre è più che un fratello: questo aspetto specifico regola molti rapporti nell’ambito del banditismo d’onore;
4 – quando il colonnello Chico Romão, alla stregua di suo nonno, attacca gli avversari esclama: «il mio pugnale è l’unghia del Padre eterno; il mio fucile è il cero con il quale rendo grazie al Signore». Ecco quindi che pure i coroneis si presentano con una loro religiosità, per quanto contraddittoria (come quella dei cangaceiros), strumentale e legittimatrice di azioni cruente;
5 – João Calangro quando ha bisogno di aiuto, nel 1879, ricorre ad un ecclesiastico, il Padre Manuel Antonio che lo aiuta a sottrarsi alla cattura;
6 – per evitare i rischi del banditismo e offrire una buona educazione scolastica, sovente i cangaceiros inviavano i loro figli presso qualche sacerdote che li salvaguardasse e li istruisse;
7 – nel 1912 Antonio Silvino chiese proprio ad un prete dì intercedere per lui presso il governo per ottenere il perdono dei suoi misfatti;
8 – nel 1922 la banda di Lampião assaltò il municipio di Belmonte al grido di «Evviva Nostra signora dei sette dolori». Forse lo fece per darsi coraggio. Nulla vietava però di scegliere un’altra espressione più laica, più neutra. Pertanto l’opzione fatta acquista una sua valenza esplicitamente religiosa;
9 – un fratello maggiore, di nome Livino (che poi morrà in uno scontro a Tenório), rimprovera Lampião, per aver ordinato una ritirata, dicendogli: «la tua vera vocazione è quella del beato. Abbandona il fucile, va’ a cantare la novena in chiesa. Non hai che l’apparenza di un uomo». Così marcata è la sua sensibilità religiosa che Virgulino Ferreira (Lampião) dà l’impressione di essere poco virile (voce che sarà ripresa in seguito sino a far sospettare una sua omosessualità di fondo);
10 – Lampião dà spesso a vedere di preoccuparsi della moralità sessuale per motivi etico-religiosi (ma invero egli stesso non è proprio impeccabile a questo riguardo);
11 – alla morte del fratello Livino, Lampião prende il lutto e si lascia crescere barba e capelli;
12 – nel mese di marzo del 1926 il padre Cicero (personaggio ritenuto taumaturgico, in fama di santità, ma pure abbastanza discusso e avversato per la sua grande influenza) invita Lampião a vivere altrove in tutta tranquillità (una simile operazione gli era già riuscita con Sinhô Pereira e Luiz Padre). Il bandito obbedisce almeno in parte; infatti evita di entrare nelle regioni da cui il padre lo aveva pregato di allontanarsi e risparmia le case in cui trova un’immagine di Cicero. Un mese dopo riceverà un altro invito dallo stesso religioso che lo pregherà di combattere la già citata Coluna Prestes, penetrata nel sertão;
13 – Virgulino Ferreira partecipa a molte feste di santi patroni. Sono sicuramente delle buone occasioni per mescolarsi tra la folla e sfuggire allo sguardo dei soldati federali, uscendo anche da lunghi periodi di isolamento e procurandosi il necessario per continuare a vivere alla macchia. Intanto però non è assente la motivazione religiosa;
14 – nel giugno 1927 decide di non assalire Mossoró dicendo che «non è bene per i cangaceiros assalire una città che possiede più di una chiesa». Anche in questo caso si può immaginare che la motivazione sia fittizia e che la ragione reale della ritirata sia un’altra, cioè 1’impossibilità di compiere impunemente un’azione troppo impegnativa per la banda. Tuttavia resta il fatto che la presenza di luoghi religiosi svolge una funzione apotropaica di allontanamento del possibile danno (il che era già riscontrabile – come si è detto – nei posti in cui si trovasse affissa un’immagine di padre Cicero);
15 – la cangaceira Maria Bonita, diletta compagna di Virgulino, è soprannominata santinha, piccola santa, appellativo che fa bene il paio con quello di beato attribuito dal fratello Livino a Lampião. Ad onor del vero il chiamare santinha una donna brasiliana non è del tutto infrequente;
16 – Virgulino Ferreira ha con sé la Vita di Cristo di Papini. Non è un suo acquisto, è un regalo di un commerciante. C’è da chiedersi comunque perché il donatore abbia scelto quel testo: evidentemente conosceva il sentimento religioso del ricevente. Quest’ultimo peraltro non si disfa del libro e presumibilmente ha avuto modo di leggerlo durante i lunghi periodi di inattività;
17 – sovente si è detto di Lampião che avesse il corpo fechado, chiuso cioè ad ogni colpo esterno. Alcuni parlano di un suo patto con il diavolo, altri invece con Dio;
18 – persino la macabra esposizione delle teste dei cangaceiros nel 1938 davanti ad una chiesa sembra chiudere simbolicamente il cerchio del loro legame con la religione;
19 – tra i reperti trovati addosso a Lampião c’è anche una medaglietta raffigurante padre Cicero; in alcuni sacchetti poi sono contenute delle preghiere (ma non mancano amuleti magici);
20 – sul versante opposto, il colonnello José Rufino, della volante contro Lampião e Corisco, dice: «Pregavo sempre il Signore di Bonfim». Ed in combattimento gridava (probabilmente per darsi animo): «Viva il Signore di Bonfim».
21 – Lampião aveva obbligato i suoi a recitare un tipo particolare di Padre nostro (di cui non resta traccia);
22 – ancora Lampião pretendeva dai suoi che avessero una sola donna, secondo i canoni della dottrina cattolica;
23 – egli era generoso con i poveri, cui dava denaro senza nemmeno contarlo;
24 – allo stesso tempo disprezzava i negri reputandoli «immagine del diavolo», espressione che in ogni caso scaturisce da una visione re1igioso-manichea della vita;
25 – la prova più pregnante della religiosità di un cangaceiro come Lampião è costituita dal suo comportamento dimesso, dalla sua bontà accentuata, dalla sua rinunzia a combattere di venerdì. Di lui si racconta molto in relazione alla sua «passione personale» rivissuta ogni settimana. «Il venerdì non conversava con nessuno, neanche con Maria Bonita. Restava solo, isolato da tutto e da tutti, perso in una lunga meditazione, borbottando a mezza voce preghiere, guardando ora il cielo, ora un punto all’orizzonte. Quel giorno non mangiava e non beveva, e teneva costantemente la canna del fucile rivolta a terra… Per lui i preti erano dei santi». Il primo fra tutti era ovviamente padre Cicero, il “santo” di Juazeiro;
26 – al più noto dei cangaceiros si riconoscevano inoltre capacità divinatorie: sarebbe stato in grado di sapere se un cibo fosse stato avvelenato;
27 – un altro famoso cangaceiro conferma una tendenziale religiosità dei banditi d’onore. Labarêda sostiene di aver pregato Dio affinché i soldati non andassero verso di lui;
28 – Durvalina, figlioccia di Labarêda, resta ferita. Per la sua guarigione tutta la banda fa un voto alla Vergine della salute, cui viene offerto del denaro, dopo il ristabilimento della donna.
5. Conclusione
Credo si possa a ragione confermare la sostanziale religiosità dei cangaceiros e specialmente di Lampião. Senonché il sentimento religioso dei banditi d’onore non nasce con l’esperienza del cangaço; esso è ampiamente precedente alla scelta della devianza sociale; è per questo che non entra in conflitto con le decisioni più crudeli quali quelle di privare gli altri del bene della vita (ed in ogni caso non si verifica un abbandono né della religione né della violenza).
La cultura religiosa è parte vitale dell’esperienza dei sertanejos e diventa perciò irrinunciabile. Ugualmente irrinunciabile è il desiderio di rivalsa e di giustizia dei cangaceiros. Perciò le due dimensioni non si scontrano, convivono perché non percepite dai protagonisti come contrastanti, anzi in qualche caso la sovrapposizione è totale sino all’identificazione tra fede e giustizia divina, sia da parte dei cangaceiros che dei coroneis. Da entrambi i fronti ognuno prega Dio per riuscire vincitore o evitare lo scontro o superare indenne il combattimento.
Del resto la guerra è “santa” per l’uno e l’altro contendente, che pure fanno riferimento alla medesima fede religiosa, agli stessi insegnamenti. Ognuno pensa e dice di avere Dio con sé, in quanto comune è la religione che fa da scenario ai vissuti sia dei banditi che dei soldati.
Il merito di Maria Isaura Pereira de Queiroz è di aver dato ordine a sparsi frammenti e di aver aperto solchi entro i quali altri si stanno cimentando per riannodare i fili della complessa trama socio-storico-antropologica del cangaço. Ora tocca seminare entro quei solchi per poter raccogliere in futuro i frutti di nuove, più sistematiche e circostanziate interpretazioni scientifiche.
Un ultimo interrogativo occorre sciogliere: la religione resta solo un accessorio nel fenomeno dei cangaceiros?
La risposta può essere data in termini metaforici: esattamente come sul cappello di Lampião, sono reperibili vari elementi socio-culturali sistemati insieme, fra cui quelli a carattere religioso (si pensi alle due medaglie d’oro con scritta, citate sopra). Ed è “sotto quel cappello” che Lampião ha pensato e agito. Il mix delle varie componenti ha prodotto inoltre un mito, una leggenda, ha creato un eroe, magari non del tutto corrispondente alla realtà di fatto. Anche questo ha del “religioso”: è il “miracolo” di una cultura popolare che si è impossessata di un personaggio, lo ha trasformato, adattandolo alle proprie esigenze espressive e comunicative, per consegnarlo all’attenzione delle generazioni future. L’opera di Maria Isaura si inserisce appieno in questa operazione di trasmissione culturale, di traditio culturae.
Riferimenti bibliografici / References
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