“Intervista a Roberto Cipriani: la prospettiva della sociologia della religione”, a cura di F. D’Ambrosio, Sociologicamente.it, 13 gennaio 2021

Checché se ne dica, la sociologia studia e accompagna i cambiamenti. In particolar modo in questo periodo di pandemia è accresciuto l’interesse verso la religione. A tal proposito è stato interessante fare due chiacchiere con il professor Roberto Cipriani, ordinario emerito di Sociologia nell’Università Roma Tre. Per citare solo alcune voci del suo vastissimo curriculum è stato presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia, presidente del Consiglio Europeo delle Associazioni Nazionali di Sociologia nell’European Sociological Association. Le sue pubblicazioni riguardano problematiche teorico-metodologiche e fenomeni culturali e religiosi. Vari suoi saggi sono editi in inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese e russo. Dal 1990  al 1994 è stato presidente del “Research Committee” di Sociologia della religione nell’International sociological association.

Le religioni oggi sono protagoniste

  • Che ruolo gioca la religione in questo periodo storico?

Roberto Cipriani – “Non si può dire che la religione abbia mai smesso di svolgere un suo ruolo nelle varie fasi storiche dell’umanità. A maggior ragione in periodi problematici. Il vasto riscontro ottenuto da papa Francescoquasi solitario in piazza san Pietro in un tardo pomeriggio della primavera passata, ne fornisce una prova lampante. Per quanto concerne in particolare l’Italia è attualmente in corso un’indagine per accertare come le diverse religioni presenti nel nostro Paese abbiano affrontato la fase della pandemia, peraltro ancora in corso. Segnatamente mi sto interessando al mondo dell’ortodossia cristiana. Ritengo comunque che ogni religione sia stata protagonista nelle vicende in atto“.

La benedizione Urbi et Orbi a Pasqua 2020 papa francesco piazza deserta
La benedizione Urbi et Orbi a Pasqua 2020

R. C. – “Se poi ci si vuole riferire ad una crisi delle religioni, ad un calo della pratica ma anche della credenza, il discorso appare ancora più complesso, come mostrano i dati dell’indagine nazionale sulla religiosità in Italia, condotta nel 2017 da Franco Garelli dell’Università di Torino per la parte quantitativa (3238 interviste ad un campiona statisticamente rappresentativo della realtà italiana) e da me per l’approccio qualitativo (164 interviste, sia del tutto aperte sia miste cioè in parte aperte ed in parte focalizzate, seguendo una stratificazione ragionata per titolo di studio e poi per genere, età, ampiezza demografica del luogo di residenza, nonché per area interregionale). In proposito sono usciti da poco i volumi di Garelli (Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, il Mulino, Bologna, 2020) e mio (L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa, FrancoAngeli, Milano, 2020)”.    

C’è sempre un influenza sulla società

R. C. “In effetti le diverse religioni, pur a fronte di andamenti oscillanti in relazione ad alcuni indicatori, mantengono un loro peso nell’influenzare gli atteggiamenti ed i comportamenti delle persone, anche quelle dichiaratesi non credenti e tuttavia coinvolte nell’affrontare tematiche di natura religiosa, magari anche solo per muovere osservazioni critiche”.

R. C. – “In conseguenza delle modifiche prodotte dalle necessità indotte dal contagio, le diverse religioni hanno posto molta più attenzione ai nuovi ritrovati tecnologici, utilizzandoli in maniera sempre più frequente e riproponendo vari aspetti tipici del cosiddetto televangelismo, ampiamente diffuso in Nord, Centro e Sud America. Così i ministri di culto tendono a prediligere modi e tempi di maggiore impatto sulla popolazione, puntando alla crescita dell’audience, onde raggiungere molte più persone, specialmente quelle più deboli, anziane, disabili. Tale insieme di innovazioni punta ad esercitare una forte attrazione, ricorrendo a proposte spettacolari, liturgicamente ben curate e guidate da personaggi carismatici ed accompagnamenti musicali e coreografici“.  

Tutti i grandi sociologi si interessano di religione

  • Perché è importante studiare i fenomeni ad essa connessi dal punto di vista sociologico?

R. C. – “Per le stesse ragioni che si possono desumere dalla risposta precedente ma anche da una semplice constatazione dei fatti, che in sociologia sono all’origine di qualsiasi procedura conoscitiva: i maggiori sociologi del passato e del presente hanno preso in esame il fenomeno religioso. Anzi per alcuni di loro la questione religiosa costituisce il focus di maggiore attenzione: per Comte come per Durkheimnel caso di Weber ed in quello di Simmel, seguendo Berger ma altresì Luckmann. E si potrebbe continuare ben oltre”.
R. C. – “La storia stessa ci narra degli stretti legami fra società e religione, specialmente fra politica e religione, come ha ben mostrato Bryan Turner, a partire dall’antica Grecia (cfr. Religione e politica. Una sociologia comparata della religione, Armando, Roma, 2018). La monarchia, il matrimonio, la legge e le conversioni rappresentano un filo rosso conduttore che permette la disamina delle numerose relazioni (ed interferenze) fra Stato e Chiesa. Sullo sfondo si affaccia la problematica preminente della libertà di culto, che dichiarata formalmente ma smentita dagli eventi presenta vari casi di violazione dei diritti universali“.  

Le tecnologie digitali supportano le liturgie

R. C. – “La tecnologia è certamente di grande aiuto in molte attività, ma comporta sempre l’apporto umano diretto per la gestione delle varie operazioni e per rendere più efficace la comunicazione. Il personale religioso è piuttosto ben predisposto all’uso delle tecniche innovative per migliorare la propria azione pastorale. Ciò vale in molteplici occasioni: dal suonare elettronicamente le campane per chiamare a raccolta i fedeli al comunicare via altoparlante con coloro che non si trovano in chiesa o nei locali annessi, dal diffondere via radio e/o televisione sia celebrazioni che preghiere e canti fino ad un uso intenso dei social networks per entrare in contatto con un cerchio sempre più largo di devoti e non”.

L’IMPORTANZA DELLA RELIGIONE NELLE CRISI, TRA REVIVAL E DIGITALIZZAZIONI

R.C. – “La novità maggiore è stata quella della chiusura totale dei luoghi di culto per alcune settimane, durante la prima ondata di covid19. Il che ha costretto numerosi operatori ecclesiali a trovare soluzioni alternative alla messa celebrata con la presenza in loco dei partecipanti. Questo ha indotto i celebranti a rivedere diversi aspetti del loro modo di esprimersi, pronunciare omelie, recitare orazioni, intonare canti e provvedere alla distribuzione dell’eucarestia. A tal proposito è stata rispolverata una soluzione ormai andata in disuso, cioè quella della cosiddetta comunione spirituale, consistente in una formula secondo la quale s’invoca la venuta “spirituale” del corpo di Cristo anche presso persone non fisicamente inserite nello spazio liturgico”.

In mancanza di abbracci si cercano nuovi segni e simboli

R. C. – “Ovviamente la pratica della comunità non è più la stessa. Quella sperimentata con la presenza personale e la frequentazione intersoggettiva non è replicabile via etere. Eppure la messa in streaming (o persino in differita) riesce in qualche misura a colmare un vuoto altrimenti poco sostenibile a lungo andare. Nella seconda ondata pandemica è stato consentito alle diverse espressioni di culto di poter prevedere l’accesso (anche se contingentato) ai templi, ovviando così a tutta una serie di inconvenienti sul piano relazionale ed ecclesiale. Ma intanto, nel caso del cerimoniale cattolico, si è dovuto rinunciare all’elemento forse più innovativo e maggiormente efficace e simbolicamente comprensibile di tutta la riforma liturgica deliberata nel corso del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965): lo scambio del segno (ora chiamato dono) di pace (una stretta di mano, un abbraccio, un bacio, un gesto di amicizia)”.

Marx, Durkheim, Weber: la religione come costruzione sociale
Marx, Durkheim, Weber: la religione come costruzione sociale

R. C. – “Le diverse religioni, consapevoli del costante bisogno di sacro (abbastanza vistoso nel periodo pandemico), cercano di soddisfare le richieste dei fedeli in termini di sostegni forti ed utili ad affrontare le vicende drammatiche del contagio. I personaggi a capo delle diverse religioni costituiscono dei punti di riferimento per molta parte della popolazione in cerca di sostegno e conforto nelle condizioni più problematiche e rischiose. Non è un caso il fatto che il personaggio più citato in assoluto nei social networks sia papa Francesco“.

Uscire per pregare si può, ma in sicurezza

  • In Francia, durante la primavera 2020, la chiusura dei luoghi di culto ha generato proteste e polemiche. In altri paesi si era valutata la chiusura. Qual è la sua idea? È meglio chiudere o rimanere aperti?

R. C. – “Invero le proteste e le polemiche non sono mancate neanche in Italia, soprattutto da parte dei gruppi più tradizionalisti. Invece papa Francesco ha detto chiaramente che andavano osservate le norme impartite dal governo italiano. Successivamente, quando si è trattato di stabilire il da farsi al sopraggiungere della nuova stagione infettiva, si è ritenuto più opportuno consentire la frequentazione delle chiese e delle altre sedi religiose, nel rispetto delle precauzioni igienico-sanitarie prestabilite: distanziamento, lavaggio delle mani con liquidi antivirali, uso costante delle mascherine per coprire adeguatamente bocca e naso. In tal modo si è ripresa la consuetudine della partecipazione personale alle manifestazioni religiose settimanali, offrendo peraltro una motivazione valida per poter uscire di casa anche in zone e tempi connotati dalla colorazione maggiormente proibitiva (quella rossa)”.

Forme tipiche di preghiera nelle varie religioni.
Forme tipiche di preghiera nelle varie religioni.

R. C. – “In linea di massima non si sono create ulteriori occasioni di propagazione del virus e principalmente si è data occasione per meglio sopportare il disagio della chiusura in casa, trovando qualche possibilità di sollievo ed interrompendo le lunghe fasi di clausura estesa e quasi monacale. Dunque si tratta di un’opzione ben accetta”.

La pandemia è un occasione per tornare a essere solidali

R. C. – “Secondo un’indagine condotta dall’Ipsos e diretta da Franco Garelli (che ne ha dato notizia ne Il Messaggero del 30 marzo 2020, pagina 15), su un campione nazionale – statisticamente rappresentativo –  di 1000 persone fra 18 e 75 anni, il 16% degli intervistati ha detto di aver pregato di più che in precedenza, prima della pandemia. In particolare il 26% del campione afferma che “sente di più l’esigenza di avere una vita spirituale, di coltivare i valori dello spirito”. Ma tali dati interessano maggiormente i soggetti già credenti e praticanti, meno quelli tendenti ad un’appartenenza più blanda. Invece i non credenti non hanno fatto registrare alcun incremento”.

R. C. – “Il 23%, poi, dichiara di prendere parte spesso o con una certa frequenza alle offerte religiose in rete (tale dato corrisponde all’incirca alla percentuale dei praticanti settimanali costanti). Anche in questo caso il coinvolgimento dei credenti più periferici è ridotto al minimo. Nondimeno il consenso verso le nuove forme di comunicazione religiosa è abbastanza ampio e coinvolge circa due terzi della popolazione (il 63%). Allo stesso tempo il 68% degli interpellati condivide la scelta di tenere chiuse le chiese ed il 61% quella di non tenere funerali religiosi (fatta salva la benedizione della salma)”.

Le proprietà formali delle religioni. Émile Durkheim ci spiega la religiosità

R. C. – “Circa la metà giudica positivamente il lasciare aperte le chiese per una frequentazione individuale, ma altrettanti sono contrari ed un 10% non si esprime. Apprezzato è il volontariato religioso in tempi di contagio. Il 70%, inoltre, non reputa la diffusione del virus come una punizione divina. E l’80% valuta la situazione drammatica quale “tempo propizio per tornare ad essere più umani e solidali”. Circa la metà del campione ritiene l’evento covid19 una sorta di messaggio divino e di richiamo verso ciò che è più importante nella vita”.