Roberto Cipriani
Il concetto di empatia è fondamentale in ogni approccio di metodologia qualitativa, in quanto da essa dipende gran parte della riuscita scientifica di un’indagine. Per empatia s’intende essenzialmente la condivisione – messa in atto da parte del ricercatore -. dei sentimenti, delle emozioni, delle sensazioni provate dal soggetto intervistato od osservato. Si tratta dell’immedesimarsi in ciò che l’interlocutore esperimenta. Si potrebbe anche dire che vi è una sorta d’identificazione con l’altro, di cui si riesce a comprendere le motivazioni grazie soprattutto al fatto che se ne vive la dimensione affettiva. Dunque è come se si provasse una passione per l’altra persona. In effetti simpatia è in origine un termine greco, empáteia, che appunto vuol dire passione. L’empatia è inoltre una forma di proiezione di se stessi nell’altro soggetto.
Se si considera che il verbo greco pásco significa soffro, patisco, provo un’impressione, faccio esperienza, mi trovo in uno stato, l’empatia in quanto aggiunge en (dentro, in) al verbo pásco fa ritenere che l’azione è svolta all’interno di una condizione altrui, in uno stato che non è quello proprio ma di un’altra persona. Il che rappresenta qualcosa di ben diverso dalla semplice simpatia, che invece si limita ad un soffrire insieme, con (sún, in greco), ma senza compartecipare appieno degli stati d’animo vissuti da un terzo. Insomma l’empatia è molto diversa da una semplice simpatia, che di solito è più superficiale e fittizia. Un conto è provare un sentimento restando del tutto all’esterno di ciò che prova un dato attore sociale, un diverso conto è giungere a provare compiutamente lo stesso stato d’animo del soggetto con cui si interagisce.
Per un’adeguata operazione conoscitiva a livello scientifico non basta la semplice simpatia per chi si va ad intervistare od osservare sul terreno della ricerca. Occorre ben di più: una vera e propria disposizione d’animo, capace di rinunciare ai propri moti spontanei, ai propri punti di vista, per assumere quelli degli altri, non certo per condividerli, quasi sostituendosi a coloro che li vivono, ma per riuscire a coglierli nella loro reale portata.
Sulla base di questi presupposti si è mossa la cosiddetta sociologia comprendente (verstehende Sociologie), dapprima con Weber tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento e poi con Schütz nella prima parte del Novecento. La comprensione comporta infatti una vicinanza massima al soggetto, senza tuttavia sostituirsi ad esso. Va tuttavia tenuto presente che la scelta della sociologia comprendente (o comprensiva, secondo altri) comporta un’accentuata individualizzazione del lavoro di ricerca, non più genericamente rivolto ad universi vasti ma attento al singolo, ai suoi problemi, al suo sentire individuale.
L’obiezione che si muove più di frequente alla sociologia comprendente ed all’empatia è che esse impediscono una corretta lettura della realtà, condizionate come sono dalla condivisione dell’ottica legata ad un particolare soggetto, di cui si rischia di riprodurre pregiudizi, visioni distorte, mistificazioni. Verrebbe meno infatti l’oggettività della conoscenza, si riprodurrebbero solo posizioni soggettive. L’interpretazione fornita non risulterebbe scientifica e solo la spiegazione riuscirebbe a rimettere quasi tutto a posto. Insomma c’è bisogno di ricollocare le specificità individuali in un quadro più complessivo. Non vi può essere un’unica rappresentazione della realtà sociale. Né d’altro canto si può tutto ridurre alla sola empatia ed alla miriade d’interpretazioni possibili.
In definitiva l’empatia (Einfühlung, in tedesco) come semplice mettersi nei panni di qualcuno non è sufficiente a garantire il rigore scientifico. Tuttavia è ben chiaro che l’approccio empatico aiuta molto il ricercatore nella sua pratica di conoscenza scientifica.
Partire dal punto di vista dell’attore sociale e dalla sua definizione della situazione non garantisce affatto rispetto ad esiti affidabili. Certamente è utile partire dalla dimensione soggettiva ma questa va poi inserita in un quadro che tenga conto della razionalità dell’azione. Non è detto peraltro che l’attore sociale sia sempre razionale nei suoi comportamenti. Se lo fosse il compito del sociologo sarebbe agevolato di molto e fare previsioni sul sociale diverrebbe un compito semplice. Ma così non è: il soggetto è imprevedibile nel suo comportamento. Anche per questo torna giovevole l’empatia che permette una conoscenza da vicino del soggetto, dunque un sapere immediato.
Ma forse l’atteggiamento più efficace nell’empatia è quello suggerito da Kurt Wolff: occorre “arrendersi” al soggetto, rinunciando al proprio io. Solo così si potrà “catturare” cioè comprendere l’individuo sociale.
Alfred Schütz, La fenomenologia del mondo sociale, il Mulino, Bologna, 1974.
Max Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1958.
Kurt Wolff, Trying Sociology, Wiley, New York-London, 1974.
Informatica dei testi (Roberto Cipriani)
L’informatica ha offerto alla sociologia importanti contributi e supporti. In realtà ciò è avvenuto segnatamente nel campo della metodologia quantitativa, ambito in cui sono stati sviluppati programmi a più riprese, particolarmente utili per sociologi e statistici, economisti e pianificatori sociali. L’alta redditività economica di tali strumenti informatici ha indotto molte industrie informatiche a cimentarsi anche sul terreno dell’indagine empirica e della raccolta ed elaborazione dei dati statistici.
Gli strumenti informatici per l’analisi dei testi hanno avuto invece uno sviluppo piuttosto tardivo in quanto non vi era (e non c’è tuttora) un mercato adeguato, cioè sufficientemente ampio e tale da trarre buoni profitti dagli investimenti effettuati nella progettazione e realizzazione del software, cioè dei programmi dedicati a questo tipo di analisi qualitativa.
Solo di recente si è registrato qualche passo in avanti con la proposta di strumenti specifici per l’elaborazione informatica dei dati a carattere qualitativo, essenzialmente costituiti da testi che risultano dalla trascrizione di interviste libere, focalizzate, semidirettive, biografiche, o di narrazioni autobiografiche, letterarie, storiche, sia orali che scritte, dunque con informazioni non quantificabili alla stregua di quanto desumibile da un unico questionario per tutti gli intervistati e con le medesime domande e relative risposte precodificate.
In verità proprio dalle difficoltà incontrate nella codifica delle risposte lasciate libere rispetto a domande aperte all’interno di un questionario è nata la necessità di trovare soluzioni adeguate per un’elaborazione rapida, coerente, e comunque con risultati equivalenti a quelli derivanti da quelli ricavabili da altre domande con risposte a scelta multipla e comunque predefinite e codificate in anticipo.
I primi tentativi sono stati effettuati in Francia con l’analyse des données. In particolare è da ricordare il primo importante apporto, quello noto come Spad-t (Système portable pour l’analyse des données-textuelles), che permette di condurre un’analisi delle corrispondenze lessicali in modo da avere un primo quadro quantitativo d’insieme sui testi, prima ancora di condurre operazioni più elaborate. In tal modo già si riesce a vedere quali siano le associazioni di parole più frequenti, in modo da individuare alcune aree tipiche.
Ma soluzioni più aggiornate e promettenti sono quelle offerte da The Ethnograph, NVivo (derivato da NUD.IST), ATLAS/ti, HyperRESEARCH.
The Ethnograph è stato un antesignano dei prodotti di analisi qualitativa computer-assistita. Nato per organizzare al meglio e rielaborare informaticamente le note prese sul campo da etnologi ed antropologi, il programma si è poi sviluppato notevolmente nel corso degli anni, un po’ inseguendo le peculiarità offerte da altri tipi di software concorrenti. The Ethnograph appare più orientato verso l’approccio interpretativo dei dati.
NVivo rappresenta un avanzamento specialistico del già noto QSR NUD.IST (Qualitative Solutions & Research Nonnumerical Unstructured Data-Indexing, Searching, & Theorizing), di cui mantiene la caratteristica di provvedere all’indicizzazione dei dati qualitativi per poi procedere alla costruzione di teorie a partire dagli stessi dati, dunque rispondendo alle suggestioni proposte dalla Grounded Theory (teoria basata sui dati) di Anselm L. Strauss e Barney G. Glaser. Di particolare interesse è la possibilità, messa a punto di recente, di combinare ed analizzare insieme i risultati di più ricerche. Il che risulta molto utile nel caso di indagini longitudinali, realizzate in diversi momenti e con gruppi e soggetti diversi.
ATLAS/ti rappresenta oggi il concorrente forse più diretto di NVivo, QSR NUD.IST e HyperRESEARCH. Sviluppato da Thomas Muhr in Germania, è particolarmente efficace nel collegare fra loro i vari dati testuali, sia segmentati che codificati. Riesce a stabilire relazioni semplici o gerarchiche. Rientra anche nei programmi adatti alla costruzione di teorie a partire dai dati. Tutte le principali operazioni sono condotte direttamente sullo schermo e possono essere implementate anche da ricercatori diversi, in riferimento ad attività diversificate, ma poi tutti i risultati possono convergere e dar luogo ad ulteriori elaborazioni d’insieme.
HyperRESEARCH è un software con una grande flessibilità soprattutto nella connessione fra i dati. Serve principalmente a stabilire reti fra i dati. Successivamente, a partire da uno schema organizzativo delle informazioni raccolte, consente codifiche, indici, liste. Infine con la comparazione dei risultati ottenuti giunge a stabilire tipologie od anche teorizzazioni iniziali.
Molti altri prodotti sono ora disponibili ma conviene affidarsi preferibilmente a soluzioni già sperimentate e sicure, che oltre tutto vengono continuamente aggiornate e migliorate.
Roberto Cipriani, Sergio Bolasco (a cura di), Ricerca qualitativa e computer. Teorie, metodi, applicazioni, Franco Angeli, Milano, 1995.
Luca Ricolfi (a cura di), La ricerca qualitativa, Carocci, Roma, 1997.