INDUISMO

Roberto Cipriani


La religione del darma ovvero della legge morale


L’induismo è la religione più diffusa in India. La sua base fondamentale è il darma, cioè la legge morale, che serve soprattutto a mantenere l’ordine sociale. I suoi testi sacri sono quasi tutti in sanscrito, una lingua molto antica, ma anche in vedico (che è ancor più antico). Particolarmente importanti per la cultura induista sono i due poemi sacri Mahabarata e Ramayana, entrambi scritti in sanscrito. A livello popolare, però, anche se si comprende qualcosa del sanscrito, sono state diffuse piuttosto alcune traduzioni nei diversi dialetti parlati nelle diverse zone del territorio indiano. Ogni regione ha le sue tradizioni e le sue cerimonie, ma rimangono in comune le idee della divisione in caste e della distinzione fra puro ed impuro. Vi sono divinità inferiori, legate alle culture religiose locali, e divinità superiori (Brahama, Siva e Visnù, ovvero la sacra trimurti) riconosciute quasi da tutti.


Le origini dell’induismo


Il termine inglese hinduism (induismo) è di origine piuttosto recente, ma in verità tale religione si era sviluppata già molti anni prima della nascita di Cristo. Infatti induismo è una parola inventata, verso la fine del diciottesimo secolo, dai britannici – colonizzatori dell’India -, per indicare la religione praticata in larga misura dagli indiani. L’induismo non ha un fondatore, non ha un unico testo sacro (come la Bibbia per i cristiani o il Corano per i mussulmani) e non ha neppure un’organizzazione religiosa (non ha infatti le caratteristiche tipiche di una chiesa come il cristianesimo).


L’evoluzione dell’induismo


L’induismo in realtà non è da considerare come se si trattasse di un’unica, omogenea e compatta religione. Le sue caratteristiche ne fanno piuttosto una sorta di famiglia di religioni diverse, tipiche di alcuni territori dell’India, anche se poi vi sono alcuni principi ispiratori in comune ed alcune pratiche abbastanza simili fra loro. Nel corso dei secoli si sono registrati cambiamenti significativi, soprattutto in relazione alla dottrina della reincarnazione e della salvezza, come pure nell’ambito della ritualità e delle devozioni in onore delle divinità. Il periodo più antico è da collegare alla civiltà della valle del fiume Indo, a nord dell’India, nell’attuale Pakistan. Le fasi successive sono quelle vediche, che iniziarono quasi duemila anni prima di Cristo e si fondavano appunto sui Veda (termine sanscrito che vuol dire “conoscenza”). Un paio di secoli prima dell’era cristiana si cominciò a sviluppare l’induismo cosiddetto classico, con le “leggi di Manu” che fornivano le indicazioni per una giusta condotta degli esseri umani. In tale contesto risultava operante il sistema di caste che stabiliva anche l’impurità di un contatto fra appartenenti a caste diverse, cioè a gruppi sociali differenti per ruolo, prestigio e beni posseduti. Successivo fu l’affermarsi sia del testo sulla “storia di Rama” (Ramayana) sia soprattutto della Bhagavad Gita, una sezione del sesto libro di Mahabarata (il poema dei discendenti di Barata). Più tardi, nella cosiddetta fase postclassica, diventarono rilevanti i testi detti puranas, dedicati a Brahama (creatore), Siva (distruttore) e Visnù (preservatore). Tuttavia va precisato che Siva non era solo la divinità della vita ma anche della rigenerazione.


Le pratiche religiose


Gran parte della pratica religiosa degli induisti tiene conto del karma, cioè della legge che governa tutte le azioni in relazione alla vita presente ed a quella futura. All’idea del karma è legata anche la reincarnazione, che consente – in una vita successiva – di nascere in una condizione migliore se la vita precedente è stata condotta nel rispetto del darma, ovvero della legge morale, e nella devozione verso le divinità, in primo luogo Brahama, l’essere divino, il Potere sacro, presente sia nell’atto del sacrificio che nel cosmo, nella natura. Ma anche Siva e Visnù vanno onorati come membri della trinità induista (o trimurti), insieme con Brahama. Elementi centrali della religiosità induista sono il tempio, il culto dei grandi fiumi (Gange, il cui nome è femminile e dunque lo fa considerare come una grande madre, Yamuna ed il mitico Sarasvati, detto anche fiume della conoscenza che scorrerebbe sotterraneo ed invisibile), la celebrazione – ogni dodici anni – del Kumbh Mela (festival della brocca, con cui si raccoglie l’acqua del Gange), le parate degli dei, le recite degli inni sacri, le meditazioni di coloro che praticano lo yoga, le prove cui si sottopongono i fachiri, i sacrifici in onore dei nobili, gli usi domestici, i matrimoni solenni, il rispetto per le mucche sacre, i riti di cremazione dei morti. Un innovatore delle pratiche induiste fu Sankara, vissuto forse tra il 788 e l’820 dopo Cristo. Pensatore intelligente e dedito all’ascetica, fu un vero guru, capace di raccogliere molti discepoli e fondare monasteri. Sankara fu anche un attento commentatore del “canto del Signore” (Bhagavad Gita).


I testi sacri dell’induismo


I testi considerati sacri dagli induisti sono in sanscrito, una lingua letteraria in uso nell’antica India già alcuni secoli prima di Cristo e conosciuta quasi solo dalle persone più istruite, appartenenti di solito alla casta dei bramini o bramani, sacerdoti del dio Brahama (uno dei tre membri – insieme con Siva e Visnù – della cosiddetta sacra trimurti). Il Mahabarata è forse il testo più importante ed è anche noto come “canto del Signore” ovvero Bhagavad Gita. Risalirebbe a tre secoli prima della nascita di Cristo ed è considerato il nucleo essenziale dei Veda, cioè dei testi indo-ariani più antichi, che erano quattro e precisamente Rigveda (inni), Yajurveda (formule per i sacrifici), Samaveda (melodie) e Atharvaveda (formule per le pratiche magiche). La produzione vedica abbraccia un periodo molto ampio che va dal 2000 al 500 avanti Cristo e contiene molti riferimenti alla natura ed all’oltremondo (la vita dopo la morte), soprattutto nelle Upanisad (dottrine segrete), in cui si parla della salvezza che libera dalla successione delle reincarnazioni e consisterebbe nella identificazione fra anima individuale (Atman)ed anima universale (Brahama): insomma non basterebbe una vita tutta religiosa e pura per interrompere il continuo ciclo delle rinascite in altre vite, ma occorrerebbe giungere a riconoscere ciò che rappresenta Brahama e ad immedesimarvisi, realizzando una stretta unione fra essere umano ed essere divino. Il Ramayana poi è una raccolta di varie migliaia di strofe che risalgono al secondo secolo dopo Cristo e narrano le imprese di Rama, un’incarnazione di Visnù. Attualmente però è il Mahabarata (o Bhagavad Gita) a riscuotere maggiore attenzione, più degli inni e dei formulari contenuti nei Veda.


Caratteristiche sociali delle società induiste


Nonostante la diffusa presenza dell’induismo l’India è uno stato laico. La sua struttura democratica è orientata verso il rispetto di ogni forma religiosa ma senza privilegiare la religione della maggioranza dei cittadini. Va tuttavia rilevato che un contrasto accentuato esiste fra induisti e mussulmani con scontri, anche violenti. Un altro problema chiave è quello delle distinzioni di casta, che interferiscono anche con le concezioni religiose induiste. A ben considerare, il concetto stesso di karma, posto alla base di ogni attività dell’induista, è di fatto un ostacolo ad ogni tentativo di abolizione o di superamento delle differenze e delle ingiustizie, che hanno come origine proprio l’ordinamento in caste. In alcuni casi persone particolarmente sensibili al rispetto dei diritti umani preferiscono lasciare la loro religione induista per evitare di rafforzare e consolidare le discriminazioni in atto. Invece gli induisti più tradizionalisti vorrebbero mantenere la situazione esistente per resistere alle influenze esterne del mondo occidentale. Altri ancora preferiscono conservare i principi generali dell’induismo ma ammorbidendoli con una maggiore attenzione al rispetto delle persone.