ORTODOSSIA ED ETERODOSSIA DEI PELLEGRINI GIUBILARI

Roberto Cipriani

Premessa

                Se si deve affrontare il tema della ortodossia e della eterodossia non si può prescindere da un dato di fatto inequivocabile: gli individui hanno a che fare con le loro molteplici differenziazioni personali. Un medesimo soggetto, nato, vissuto ed educato in un dato contesto ne viene condizionato, vi reagisce, vi si contrappone, dunque ha un rapporto contraddittorio con la sua stessa appartenenza: talora l’accetta, talora la rigetta.

                Orbene si può legittimamente sostenere che ciascun attore sociale è abitato da profonde differenze di pensiero e di azione, di volta in volta espresse o represse, rese esplicite od implicite. In ogni caso atteggiamenti e comportamenti individuali raramente mantengono una coerenza, una linearità monorsa, cioè orientata verso un’unica, immutabile direzione. Deviazioni (ovvero devianze) sono sempre possibili e di fatto praticate. Anzi sono proprio esse che consentono alla persona di riconoscere meglio il proprio approccio peculiare, che si presenta difforme e multiforme al medesimo tempo.

                Le diversità del pensiero individuale non possono non avere riverberi sull’agire sociale del singolo, il quale si trova poi a confrontarsi con l’infinita serie di altri modelli di azione implementati dai membri di una società.

Convergenza di fede e divergenza valoriale

                La mutabilità dell’individuo sociale ha effetti diretti sulle sue relazioni ed azioni in società, soggette all’imprevedibile intreccio di contingenze, condizioni, umori, contesti. Quindi più che di un confronto fra individui si può parlare di un incontro/scontro fra prospettive diversificate inerenti gli stessi soggetti in rapporto tra loro.

                Detto altrimenti è sovente il peso della propria appartenenza che segna il discrimine fra gli attori sociali e che li rende diversi e cangianti.

                Ma c’è anche da considerare che la gestione della matrice di origine può variare sensibilmente dall’uno all’altro protagonista. In effetti non solo si è parte di un quadro socio-culturale (politico, economico e religioso) ma anche la capacità di interagire con esso deriva da ciò che la prospettiva originaria (a livello familiare, scolastico, amicale) ha favorito, fatto sviluppare, premiando e sanzionando, fornendo esempi concreti di vissuto anche senza far ricorso necessariamente a discorsi magniloquenti, a retoriche della costrizione-convinzione.

                Ecco perché anche una appartenenza socio-religiosa presenta ed offre – in modo paradossale – sia gli strumenti di asservimento che quelli di liberazione rispetto ad essa, che tuttavia permane (anche nelle situazioni di massimo conflitto) un elemento fondante di riferimento non fosse per altro che per esprimere un disaccordo nei suoi confronti, poco di frequente nei riguardi di altre appartenenze particolari, a meno che non sussistano ragioni cogenti, legate a momenti peculiari.

                Ben è nota la metafora dello sguardo da vicino e da lontano: se si resta troppo vicini ad un quadro, quasi a contatto, se ne ha una visione assai limitata, mentre a mano a mano che ci si allontana da esso si è in grado di contemplarlo nella sua interezza, di “dominarlo” compiutamente e di cogliere l’insieme dei significati, dei messaggi di cui esso è costellato.

Occorre quindi distinguere fra relativismo valoriale e propensione ad un assolutismo dei valori, come pure fra libertà da pregiudizi ed un buonismo parolaio e retorico, senza nascondersi la difficoltà di conciliare l’appartenenza ad una prospettiva specifica con l’apertura ad altre e di gestire una propria identità insieme con l’avvicinamento a prospettive ideologiche diversificate.

                Tutto questo è come dire che un coinvolgimento passionale troppo spinto e poco attento alla realtà (quale può essere rappresentato da un certo aperturismo ad ogni costo) è come uno sguardo miope, che ha difficoltà di andare oltre l’apparenza della vicinanza.

Va quindi ribadito che in effetti la differenza esiste, si accompagna ad ogni forma di pensiero, anzi la sostanzia, ne è parte vitale, dinamica, fertile.

                L’affannarsi di molti sociologi contemporanei nell’uso indiscriminato del concetto di globalizzazione non può trarre in inganno chi invece è più attento alla datità della ricerca sul campo. Infatti i processi contemporanei di modernizzazione e di innovazione non sembrano in grado di annullare del tutto le diversità che sono fonte e matrice di opzioni tanto numerose quanto poco programmabili dall’esterno.

                Vi è chi sostiene che “le società moderne non si caratterizzano per il fatto di essere più differenziate delle società tradizionali, ma perché lo sono in una maniera diversa” (Raymond Boudon, François Bourricaud, Dizionario critico di sociologia, Roma, Armando, 1991, p. 311). Ma si può obiettare che nelle società contemporanee le occasioni e le possibilità di differenziazione sono aumentate, per una più larga disponibilità di opzioni che vengono offerte sul “mercato” delle idee e sul piano delle modalità di socializzazione sia primaria che secondaria. Anzi, per certi versi, in passato si registrava pure una maggiore omogeneità almeno all’interno delle singole appartenenze. La situazione attuale consente non solo la diversificazione già sperimentata in precedenza ma dà luogo ad altri percorsi inusitati di ibridazione. Insomma se anche le appartenenze precedenti sono rimaste identiche (come numero e caratteristiche prevalenti) quelle odierne mostrano soluzioni nuove, con un mix di elementi che, lungi dal risolvere i problemi della differenziazione con soluzione preordinate, presentano problemi ancor più complessi.

Non è discutendo in astratto che si supera l’impasse in cui si trovano le problematiche relative alle differenze attitudinali e comportamentali. È invece necessaria una vasta e prolungata fase di ricerca sul campo, per conoscere approfonditamente gli insiemi ed i dettagli delle appartenenze e delle rispettive dinamiche in ciascun contesto particolare. La soggettività umana è altamente imprevedibile; lo è ancora di più quando essa si ritrova in gruppi, folle, masse, culture altamente differenziate e complesse. La situazione va dunque esaminata ed attentamente considerata caso per caso ed in modo graduale.

Il cosiddetto politeismo dei valori, fosse anche il programma di un governo assolutistico, è destinato a produrre risultati grami, senza una programmazione oculata ed a lunga gittata, ma soprattutto realmente condivisa e partecipata a livello di base, cioè degli stessi individui e gruppi interessati.

D’altra parte il monoteismo dei valori non è progetto che abbia già trovato completa e perfetta implementazione, nemmeno a livello iniziale, in alcuna confessione religiosa. La realtà sociologica della nostra epoca è talmente innervata e costruita sugli scambi intervaloriali che la presunta autarchia monovaloriale non rientra nelle ipotesi degne di attenzione scientifica.

Una appartenenza socio-religiosa non può essere tenuta a freno. Essa ha una sua dinamica pervasiva che riesce ad esulare anche dalla volontà consapevole dei singoli. Neppure uno stato totalitario giunge a spegnere del tutto credenze e linguaggi, valori e modelli comportamentali. La storia del secolo appena trascorso ne fornisce prove lampanti.

Prima ancora di pensare a risolvere i conflitti sociali e religiosi con qualche marchingegno legislativo è bene riproporre la questione del ruolo sociale del conflitto valoriale. Questo non va demonizzato. Anzi è da considerare un segnale fondamentale dell’esistenza di problemi irrisolti. E dunque va preso come un elemento persino positivo nella misura in cui aiuta a formulare diagnosi sui trends in atto e sui bisogni di un individuo o di un gruppo di individui messo alla prova da eventi nuovi e straordinari quali quelli di una manifestazione di massa, con ravvicinamenti ma anche distanziamenti fra le diverse modalità di appartenenza.

Se sintesi attitudinali e comportamentali vi sono queste nascono dagli stessi protagonisti.

La storia, quella recentissima e quella del passato, dimostra appieno che il contrasto fra gli orientamenti dei singoli è enfatizzato ed esasperato segnatamente laddove gli attori sociali non hanno il controllo pieno delle loro azioni o non hanno avuto la possibilità di gestirle. È allora che i conflitti valoriali si trasformano in conflitti più accentuati, talvolta anche all’interno di una medesima appartenenza confessionale.

Ortodossia ed ortoprassi, eterodossia ed eteroprassi

                Ogni religione tende, nel suo organizzarsi storico, ad autogarantirsi da fughe e diaspore dei suoi fedeli, cercando di mantenerli quanto più possibile uniti all’interno di un unico riferimento di fede, di un medesimo quadro etico-comportamentale, secondo canoni predefiniti e sulla base di controlli di varia natura.

                Sin dalle sue origini la chiesa cristiana prima e cattolica poi ha convissuto con i problemi dovuti alla dialettica fra ortodossia ed eterodossia, fra pensiero corrivo e pensiero dissenziente.

                Per la sua stessa natura la chiesa è considerata impeccabile, infallibile, santa. Al di fuori di essa nulla salus, non è immaginabile che ci possa essere salvezza. Dunque solo restandole fedele il credente sarebbe certo di non dannarsi per l’eternità.

                “Come nel cenacolo, il giorno della Pentecoste, c’era una sola comunità riunita intorno agli Apostoli e al loro capo-guida, così attraverso i secoli, i discepoli di Cristo, per vivere della sua vita, devono per una formale volontà restare sempre uniti in un corpo unico, nel senso sociologico e giuridico del termine, sotto la guida dei successori degli Apostoli, riuniti a loro volta intorno all’organo centrale e moderatore della società ecclesiastica, il successore di san Pietro” (R. Aubert, “Introduzione generale”, in J. Daniélou, H. Marrou, Dalle origini a S. Gregorio Magno. 1. Nuova storia della chiesa, Marietti, Torino, 1970, pp. 15-16).

                La concezione dell’Una sancta, dell’unica chiesa, cioè quella cattolica romana, che in fondo appare come una vera e propria chiesa-società, ha tarpato le ali ad ipotesi di differenziazione interna ed ha impedito – ove possibile – defezioni cospicue e vistose.

                Nei riguardi di Gesù stesso, il Messia, i sadducei ed i gran sacerdoti manifestavano la loro avversione, perché non condividevano i contenuti del suo annuncio evangelico e quindi lo perseguitavano.

                I primi tempi dell’esperienza cristiana di chiesa non furono esenti da ventate eterodosse, fra le quali si può citare il movimento degli ebioniti, che riconoscevano la funzione messianica del Cristo ma negavano che fosse il Figlio di Dio. Altri eterodossi furono gli elchesaiti, che non usavano fare sacrifici; i nicolaiti, che sostenevano la necessità di una libertà assoluta; i simoniani, così chiamati perché adoravano Simone ritenuto il Dio primo; i menandriani, che praticavano la magia; i barbelognostici, i sethiti, i carpocraziani ed altri ancora.

Segnatamente la gnosi cristiana ebbe nei primi due secoli dopo Cristo una significativa proliferazione di sette, la cui eterodossia consisteva soprattutto in caratteri mitologici, astrologici, eonici (con semidivinità interposte fra Dio e la realtà).

                Alle origini del cristianesimo, dunque, le dispute fra ortodossi ed eterodossi furono piuttosto vivaci e diedero luogo a separazioni continue. All’interno stesso dell’ortodossia non vi era un’unità sostanziale. I marcioniti consentivano alle donne di battezzare, imporre le mani, fare esorcismi. I valentiniani erano fautori dell’ultimo eone Sophia che ricercava il Padre. I montanisti erano intrisi di spirito profetico e visionario. Gli encratisti non erano d’accordo sul matrimonio. I monarchiani consideravano il Figlio e lo Spirito solo come potenze espresse da un’unica persona divina.

                Tutte queste correnti eterodosse agivano in Roma stessa, dove erano presenti i loro leaders principali. Tale convergenza non era casuale. Si voleva incidere e fare proseliti nella sede stessa del vescovo successore di Pietro: sotto gli Antonini la capitale dell’impero era diventata un centro multietnico ed anche multireligioso.

In quel periodo ci furono varie dispute fra scuole teologiche e tra queste e la chiesa. Ireneo (circa 140-circa 200) scriveva l’Adversus haereses per contrastare le posizioni eterodosse gnostiche e rivendicare ai vescovi l’autorità dottrinale, grazie alla tradizione apostolica ed all’ortodossia del loro insegnamento, volto a garantire anche l’unità della chiesa.

                Le controversie proseguirono nei secoli successivi e solo i concili cercarono di porvi termine. Anche le persecuzioni del IV secolo produssero scismi, soprattutto attraverso il donatismo africano che si diffuse con caratteri pauperistico-rivoluzionari ed ebbe seguaci votati al martirio.

                Il sorgere dell’arianesimo trovò risposta nel concilio di Nicea nel 225, ma gli stessi Padri conciliari erano assai divisi tra loro: ariani, collucianisti, origenisti, antiariani ed altri ancora. La maggioranza riuscì tuttavia a condannare la dottrina di Ario, che però suscitò nuove prese di posizione e conflitti antiniceni, fino ai tempi di Giuliano l’Apostata (361-363), la cui amnistia ridiede fiato alle controversie, agli scismi, al caos teologico sul piano trinitario e cristologico.   

                Una certa ricomposizione si ebbe con il concilio di Costantinopoli nel 381, a seguito anche dall’intervento determinante dell’imperatore d’Oriente Teodosio a favore dell’ortodossia.

                Con un’enfasi particolare sull’ascetismo, sulla spiritualità interiorizzata e sulla vita eremitica e cenobitica, il successivo sviluppo del monachesimo, a partire dall’Egitto, rappresentò un’altra tappa nella dinamica fra ortodiretti ed eterodiretti, sia in campo dottrinale che comportamentale.

                Di poco posteriore è l’inizio della pratica dei pellegrinaggi, specialmente in Palestina (ma già al 333 risaliva un itinerario da Bordeaux a Gerusalemme, per non dire del celebre diario di Egeria pellegrina a Gerusalemme intorno al 400).

                Nuove opposizioni sorsero dopo il concilio di Calcedonia (451). Si ebbe un primo scisma tra Roma e Costantinopoli, dal 484 al 519, poi rinnovatosi assai più tardi (nel 1054). Monofisismo e triteismo furono i nomi delle nuove dispute teologiche. Anche il nestorianesimo riprese vigore. Ma fu soprattutto il pelagianesimo con il suo moralismo a prendere piede, sollecitando criteri di massimo rigore, di tipo puritano.

                Il concilio del Laterano nel 649 condannò il monotelismo. Il concilio di Nicea del 787 dichiarò eretica l’iconoclastia, ma seguirono numerose controversie: si crearono due orientamenti, uno più conciliante verso gli ex iconoclasti e l’altro più inflessibile.

                Più complessa fu la diatriba con Fozio (827 circa-898 circa), dapprima riconosciuto come legittimo patriarca di Costantinopoli poi sconfessato da Roma, che gli contrappose l’intransigente Ignazio, già nominato dalla spodestata imperatrice Teodora. Solo alla morte di Ignazio tornarono la pacificazione e la comunione con il papa. Ma intanto a lungo il riconoscimento del primato romano era stato messo in discussione e soprattutto si era contestata l’aggiunta del termine Filioque al simbolo (credo) niceno. Quest’ultimo punto sarà ripreso anche nello scisma del 1054.

                Un altro momento segnato dall’eterodossia coincise con l’avvento del movimento lombardo dei patarini, avversi al clero simoniaco, e con quello – ben più vasto – dei catari, sostenitori del dualismo bene-male, spirito-materia. Nel frattempo sorgevano anche i protoprotestanti valdesi. Alcuni studiosi invero distinguono fra un Pietro Valdo sostanzialmente ortodosso ed alcuni suoi seguaci piuttosto eterodossi (M. D. Knowles, Il medio evo. 2. Nuova storia della Chiesa, Marietti, Torino, 1971, pag. 403).

                Seguì la complicata e drammatica vicenda degli albigesi, massacrati a Béziers il 21 luglio 1209. Allo stesso periodo è da far risalire l’avvio dell’inquisizione, voluta dal papa Lucio III, consenziente Federico I. Ma fu Gregorio IX a rendere canonicamente legittima la procedura inquisitoria.

                Agli inizi del 1400 il praghese Giovanni Hus sostenne nel suo De ecclesia che solo i predestinati erano membri della chiesa, fornendo una lettura purificata del vangelo ed affidando alle Scritture ogni giudizio dottrinale. Hus finì sul rogo, ma i suoi discepoli non si diedero facilmente per vinti.      

                Si giunse così alla maggiore fenomenologia eterodossa di tutto il cattolicesimo: la Riforma protestante, che prese spunto dalla questione delle indulgenze, concesse dal papa Giulio II nel 1507 e da Leone X nel 1514 per raccogliere offerte destinate alla realizzazione della basilica di san Pietro a Roma.

                Nel XVII secolo il giansenismo – da alcuni giudicato eterodosso perché vicino al calvinismo ma da altri ritenuto del tutto ortodosso ed all’interno della chiesa cattolica – suscitò lunghe discussioni in merito alla predestinazione, alla contrapposizione fra grazia e peccato, alla corruzione dovuta al peccato originale.

                Proprio un giansenista, Pietro Tamburini, per contrastare posizioni che avevano invocato un ritorno ai tempi dell’inquisizione ed alle punizioni esemplari dei non ortodossi, pubblicò nel 1783 – a nome del suo discepolo Taddeo di Trauttmansdorf – l’opera De tolerantia ecclesiastica et civili, in cui ribadì l’intrinseca necessità per il cristianesimo di un atteggiamento più rispettoso verso gli erranti, pur nella condanna dell’errore.

                Sarà questa una posizione “illuminata” fatta propria autorevolmente anche da un papa, Giovanni XXIII, in riferimento agli ebrei ma con una valenza universale, valutando che violenza fisica e modalità inquisitorie non sono consone allo spirito evangelico. 

                D’altro canto la propensione al rispetto dell’ortodossia, in chiave di centralismo romano, tornò a fiorire con l’ultramontanismo, che nelle sue forme più accentuate non disdegnò di accusare ingiustamente anche sacerdoti e vescovi considerati poco ortodossi e non sempre ubbidienti ai dettami papali.

Il Concilio Vaticano I (aperto l’8 dicembre 1869) fu convocato anche per riaffermare pubblicamente la centralizzazione della chiesa e riconoscere solennemente l’infallibilità pontificia.

                Ma un nuovo colpo alla chiesa romana venne dal modernismo, inteso come processo di rinnovamento pur senza abbandonare l’appartenenza ecclesiale ma criticando l’assetto istituzionale del cattolicesimo. Furono modernisti, e perciò accusati, anche taluni uomini di chiesa, scontenti del conservatorismo dominante e desiderosi di maggiore libertà ed autonomia. La repressione non tardò e colpì molti spiriti critici.

                Il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) ha ridimensionato molte querelles del passato ed ha proposto di vedere sotto nuova luce le realtà temporali. Si è così sviluppata una nuova teologia più attenta ai problemi terreni.

                Dopo questo rapido e sommario excursus storico, non possiamo non citare una puntuale riflessione che, provenendo da un ambito non cristiano, acquista un significato ben più ampio, al di là del mondo islamico cui si riferisce il suo autore: “I dogmi costituiscono l’ostacolo più formidabile all’instaurazione di un sistema inteso ad offrire un modello per il presente e il futuro della vita degli uomini, un sistema fondato su una logica più forte delle scuole teologiche e delle ideologie in lotta reciproca” (Mohammad Khatami, Religione, libertà e democrazia, Editori Laterza, Roma-Bari, 1999, pag. 137).

                È appunto ai dogmi che si aggancia l’ortodossia, in particolare il giudizio di valore sul corretto modo di pensare e – come ortoprassi – di agire che ne deriva. Orbene, come si è visto, tutta la storia della chiesa ha sperimentato la presenza di una continua istanza critica, più o meno polemica, più o meno vivace, talora pacata ma talvolta anche drammatica. In discussione è stata e resta la modalità di adeguamento all’insegnamento ufficiale, ai principi di base propugnati dal magistero ecclesiale.

                Il fatto è che la scelta decisiva avviene sempre a livello individuale, interiore. Dunque il richiamo all’ortodossia ed al rispetto delle norme non risulta efficace quando il soggetto è fornito di una sua consapevolezza profonda, di un suo orientamento di fondo.

                Gli esempi in proposito spaziano dall’etica sociale a quella sessuale, dalla normativa sacramentale alla prassi liturgica, dalla spiritualità quotidiana a quella festiva, dalla credenza in Dio alla percezione dei novissimi (inferno, purgatorio, morte, giudizio universale).

                In campo religioso la norma è legittimata dall’autorità ecclesiale, che presiede alla valutazione della sua applicazione caso per caso. In tal modo essa esercita un controllo su atteggiamenti e comportamenti dei fedeli ed etichetta come devianti le azioni ed i soggetti non in linea con i suoi dettami.

                C’è tuttavia da constatare che gli individui tendono a seguire le norme secondo le situazioni contingenti. Essi possono infrangerle una volta od anche più volte, seguendo la propensione del momento, le necessità e gli stimoli del caso. Ogni deviazione dalla norma è un atto di eteroprassi.

                Nel caso dei pellegrini giubilari c’è da chiedersi perché essi, pur in larga misura credenti in Dio ed appartenenti alla chiesa, manifestino poi opinioni divergenti – su alcuni aspetti – dal punto di vista espresso dalla dottrina cattolica.

                Secondo la teoria del controllo, le norme, i dogmi, le prescrizioni ci sono perché se non ci fossero assai più numerosi sarebbero i comportamenti di devianza, di eteroprassi. E comunque l’osservanza, l’ortoprassi, si verificherebbe solo nei casi in cui la ricompensa, il guadagno, la gratificazione siano superiori a quanto sarebbe possibile ottenere con la violazione delle regole e dei principi.

                Si tratterebbe dunque di calcolare di volta in volta costi e benefici, perdite e guadagni. L’agire che ne deriva è il risultato di una opzione ben ponderata nei suoi effetti. Si potrebbe parlare legittimamente di una rational choice.

                Un’altra motivazione che spinge all’inosservanza è l’assenza di limitazioni sociali. In un gruppo religioso è difficile verificare la presenza di azioni eterodosse rispetto alla normativa confessionale di riferimento. Se però il singolo si trova ad operare al di fuori della sua cerchia di appartenenza ecclesiale più facilmente è portato a violare le norme, gli orientamenti, i precetti.

                Di solito incidono vari fattori, che comprendono i modelli d’interazione fra individui, il rapporto fra il rischio di sanzione sociale e la soddisfazione personale da conseguire, il livello di impegno in un’attività (specialmente religiosa), le credenze in chiave di norme interiorizzate (di solito si dice, sbrigativamente, “la coscienza”). Ovviamente l’appartenenza di un attore sociale ad un gruppo ecclesiale impedisce in genere il verificarsi di un agire eterodosso. Comunque, va anche detto che i diversi fattori sono spesso legati fra loro e possono costituire tutti insieme un prevalente impedimento alla pratica dell’eterodossia.

                Abbastanza convincente, organica e ben documentata è la trattazione proposta da Enzo Pace nell’Enciclopedia delle Scienze Sociali (Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1996, vol. VI, pp. 437-438) per la voce “Ortodossia ed eterodossia”: “Questi due termini non sono altro che la forma fisiologica del conflitto religioso o simbolico: l’eterodossia è infatti, da questo punto di vista, una forma di contestazione dell’ordine simbolico ortodosso così come si è venuto affermando attraverso la forza di imposizione esercitata da un gruppo di specialisti del sacro, essa è un modo attraverso il quale persone o gruppi vengono a porsi come antagonisti rispetto all’interpretazione ufficiale di una dottrina o di un messaggio religioso trasformato in un sistema ortodosso. La posta in gioco è la contestazione della regolazione ortodossa della ‘fede’ religiosa. Tutte le varie forme di dissidenza religiosa che noi conosciamo dalla storia (messianismi, movimenti apocalittici o nuovi profeti) possono dunque essere ‘rilette’ anche come manifestazione di una ricorrente tensione fra un corpo di verità dottrinarie attestate da un gruppo di specialisti o da un’istituzione sacra, da un lato, e altri gruppi o persone che revocano in dubbio la legittimità dell’interpretazione fornita dai primi, dall’altro”. 

I dati empirici di base

                Non è da pensare che il pellegrino venuto a Roma per l’anno santo del 2000 abbia un suo profilo a tutto tondo che lo rappresenti come il modello ideale di cattolico, del tutto ortodosso ed ossequiente secondo i dettami della religione ufficiale di chiesa.

I risultati dell’indagine empirica ce lo presentano invece in tutte le sue stratificazioni attitudinali e comportamentali, che vanno dalla più stretta osservanza di norme e prassi ad una totale mancanza di interesse per problematiche di natura religiosa tradizionale. Insomma l’essere venuti a Roma per l’occasione giubilare nulla garantisce in termini di pratica confessionale, di credenza nel soprannaturale, di obbedienza al magistero ecclesiastico.

                Ovviamente la natura stessa del campione degli intervistati è tale da far immaginare differenziazioni anche marcate fra l’uno e l’altro degli interpellati. E così è se si tiene conto della provenienza plurima dei soggetti: da diverse regioni se italiani, da varie nazioni se stranieri, con tutto quello che ciò comporta in termini di cultura, tradizioni, riti, linguaggio, costumi, stili di vita, espressioni etiche, abitudini celebrative, modalità di autopresentazione, estrinsecazioni invocative, impetrative, oranti e canore, atteggiamenti verso la chiesa istituzionale.

                Se la maggioranza dei pellegrini ha seguito in televisione – in diretta o meno – l’apertura della porta santa nella notte di Natale del 1999 non è però trascurabile la quota di coloro (15,6%) che poca attenzione hanno mostrata nei riguardi di tale evento mediatico-religioso.

                La percezione stessa del giubileo varia sensibilmente: per un buon numero di intervistati è un’occasione di pentimento e per la maggioranza serve ad una revisione della propria vita, epperò il 38,7% lo considera di fatto un buon affare per albergatori, ristoratori e negozianti.

                Le motivazioni che hanno portato ad intraprendere il viaggio verso la “città eterna” vanno dall’intento di lucrare le indulgenze all’interesse per una città bella come Roma, ma anche al desiderio di rafforzare la propria fede.

                La maggioranza relativa dei visitatori sono giunti nella capitale universale del cattolicesimo insieme con un gruppo organizzato a carattere parrocchiale o diocesano, un po’ meno con il nucleo familiare ma ancor meno con una comitiva turistica.

                Se molti hanno preso parte ad una messa giubilare, poco più della metà di essi si sono confessati, circa un quarto hanno fatto penitenza.

                Quasi lo stesso numero di coloro che dicono di aver partecipato ad una celebrazione eucaristica manifesta l’intenzione di parlare anche ad altri della propria esperienza giubilare, una volta di ritorno a casa. Qualcuno non è del tutto certo di voler poi raccontare il suo viaggio per l’anno santo. Altri ancora – ma sono una minoranza ben ristretta – non sembrano propensi ad un’ulteriore comunicazione relativa all’evento vissuto.

                Sull’opportunità di un intervento della chiesa durante l’anno giubilare a favore degli immigrati in stato di bisogno è più o meno la medesima maggioranza (che sfiora l’80% dell’universo) a ritenere opportuna ed utile una simile azione, ma il 13,8% non lo considera un compito ecclesiale ed il 5,3% appare più sfiduciato (“non c’è nulla da fare”).

                Gli habitués dei pellegrinaggi (due o più partecipazioni negli ultimi tre anni) sono il 23% dei rispondenti, ma più della metà (il 54,3%) non ha preso parte a tali esperienze per cui l’occasione giubilare è di fatto l’unica in chiave di mobilità religiosa nell’ultimo triennio.

                Sul perdono chiesto dal papa per i peccati della chiesa si dicono d’accordo in gran numero, ma non mancano i perplessi ed i contrari.

                Interessante è poi il dato di opinione sulle pressioni esercitate dalla chiesa cattolica per impedire lo svolgimento della manifestazione del Gay pride a Roma. Se è vero che la maggioranza dei pellegrini intervistati è più o meno d’accordo con l’atteggiamento ecclesiale va pure considerato che un quarto di essi mostra la sua contrarietà e quasi il 15% non si esprime  in proposito.

                In merito ai risvolti economico-commerciali della celebrazione giubilare le riserve espresse dall’universo intervistato sono cospicue e di fatto corrispondenti alla consistenza numerica dei fedeli più ortodossi. Solo il 12,4% non mostra difficoltà in proposito, ma l’8,8% non sa esprimersi.

                Molto contrastata è l’opinione relativa all’orientamento sempre più temporale della chiesa. Per il 10,3% il mutamento in atto è evidente, per il 32,9% c’è stato solo in parte. Il 18,1% non si pronuncia, mentre il 38,1% non vede alcun cambiamento di rotta a livello di spiritualità.

                La possibilità di accesso delle donne al sacerdozio è vista favorevolmente, sia pure con sfumature diverse, da quasi la metà dei pellegrini; invece il 36,2% è contrario ed il 16% non manifesta alcuna opinione.

                Piuttosto divaricate sono le concezioni sul significato dell’essere cristiani oggi: per taluni prevale la diffusione del Vangelo, per la maggioranza relativa rimane importante l’amore verso il prossimo, per altri infine tutto è affidato alla scoperta di una dimensione personale.

                Il senso di appartenenza alla chiesa cattolica è forte in quasi il 60%, si riduce abbastanza per poco più del 32%, non esiste affatto per il 6,7%.

                Ovviamente sono moltissimi i pellegrini che credono in Dio, eppure il 6% non è del tutto certo che Dio esista e dieci intervistati non vi credono affatto.

I dubbi e le negazioni aumentano nel caso della credenza nel purgatorio, tanto che quasi la metà dei giubilanti appare critica o molto critica a tal riguardo.

Intanto anche l’ipotesi della reincarnazione trova un certo numero di adepti: i sicuri sono il 13,2%, gli incerti il 22,9%, i restanti (62,3%) negano tale possibilità post mortem. Naturalmente rimane qualche riserva sulla reale comprensione del quesito da parte degli intervistati, che possono aver confuso reincarnazione e resurrezione, anche se quest’ultima aveva una sua precisa configurazione tra le risposte precodificate ed era collocata giusto prima dell’alternativa relativa all’incarnazione. D’altra parte è anche probabile un cospicuo apporto degli stranieri alla credenza nella reincarnazione.

                Più problematica appare l’opzione sui rapporti extraconiugali di un uomo sposato e di una donna maritata – negati come illeciti dal 65,4% -, sul divorzio legato alla contingenza dei casi – ammesso dal 52,6% -, sull’omosessualità – vista sfavorevolmente dal 45,1% ma accettata in toto dal 25,3% e secondo i singoli casi dal 28,9% -. Quest’ultimo dato, insieme con l’atteggiamento in merito al Gay pride, rappresenta certamente il punto di maggiore frizione tra il magistero cattolico ed il punto di vista dei fedeli partecipanti all’anno santo. Pertanto occorre una specifica attenzione a tale evidenza empirica, perché indizio di più ampie diversificazioni, non solo nel campo dell’etica sessuale.

                La pratica della messa festiva è relativamente alta rispetto ai dati usuali di comportamento medio sia della popolazione italiana che di quelle straniere: ben il 60,4% degli intervistati va a messa la domenica ed in buona misura anche nei giorni feriali. Per il resto la pratica festiva è più rarefatta, secondo stratificazioni quantitative, fino a giungere al 3% dei casi con una totale assenza di presenze domenicali in chiesa.

                Maggiori adesioni raccoglie peraltro la pratica della preghiera, assente nel 4% dei casi ma dichiarata come frequente (una o più volte ogni giorno) dal 64% del campione.

                Il pensiero della morte, infine, è ricorrente per un soggetto ogni tre, risulta saltuario per il 58,8%, appare insussistente per il 7,2%.  

Gli ortodossi

                Misurare l’ortodossia dei partecipanti al grande giubileo del 2000 è in pari tempo agevole e difficile. Risulta agevole se guardiamo ai dati abituali delle ricerche sociografiche che rilevano gli atteggiamenti religiosi della popolazione a partire dall’osservanza dei precetti etici sostenuti dalla dottrina cattolica, appare invece difficile se mettiamo in dubbio la reale portata di un’affermazione non necessariamente collegata a conseguenze comportamentali coerenti. Insomma il dichiararsi contrari al ricorso all’aborto non vuol dire che in precedenza ciò sia sempre avvenuto di fatto e/o che in una futura situazione la scelta reale sarebbe senz’altro consonante con quanto affermato. Il sociologo è dunque condizionato dalla prospettiva del “come se”, cioè dall’idea che a principi affermati corrispondano azioni conformi, quindi non in contraddizione con la dichiarazione rilasciata all’intervistatore.

                Tra i risultati dell’indagine sui giubilanti sono numerosi gli aspetti che possono essere assunti come indicatori certi di ortodossia. Occorre tuttavia – per ragioni metodologiche e procedurali – limitarsi a prendere in considerazione precipuamente quegli elementi che sono in netta e diretta contraddizione con le alternative specifiche di eterodossia più esplicitamente rese manifeste attraverso le risposte prescelte nel questionario somministrato.

                Per esempio è sicuramente in chiave ortodossa l’orientamento sfavorevole all’aborto presente in larga misura tra gli intervistati (il 52%, cioè 532 soggetti). Ma non è questo l’ambito più problematico e più discriminante in chiave di ortodossia ed eterodossia. Pertanto si è preferito guardare piuttosto al dato sul divorzio dove la dicotomia tende ad essere più netta, in termini numerici. Infatti, mentre sull’aborto la maggioranza assoluta è contraria, sul divorzio invece la percentuale più alta (52,6%, cioè 538 intervistati) è data dai possibilisti, i quali concedono larghi margini di praticabilità in casi particolari; gli sfavorevoli al divorzio rappresentano il 29% dell’universo e dunque fanno segnare una netta divaricazione rispetto all’eterodossia maggioritaria.

                In pratica si è preferito utilizzare nell’analisi solo le variabili meno suscettibili di letture interpretative ideologicamente orientate, soggette ad ambiguità di fondo, non autoevidenti e flessibili fino al punto da essere divaricabili verso prospettive assai diverse tra loro.

È bene puntualizzare anche che le percentuali utilizzate nelle tabelle che seguono sono relative all’intero universo, ivi comprese le mancate risposte, in modo da evitare che la reticenza degli intervistati avesse un suo peso specifico ed incidesse sulle quote parti del campione da analizzare in chiave di ortodossia ed eterodossia. Comunque non sono state fatte rientrare nel novero delle nostre considerazioni sociologiche quelle domande che hanno creato maggiore imbarazzo agli interpellati, i quali hanno preferito non rispondere (per esempio sul mancato approfondimento della conoscenza relativa al giubileo – domanda 5 –, sulle sensazioni provate nel vedere il papa – domanda 11 -, sulla consistenza delle offerte date durante l’esperienza giubilare – domanda 16 -, sul tipo di audience radiotelevisiva preferita – domanda 50 -, oppure sullo schieramento politico – domanda 51 – ed in particolare sulla convivenza – domanda 54 -). Inoltre non vengono qui esaminate le risposte aperte (domande 3, 17, 25 e 48), che sono oggetto di uno studio apposito condotto da altri.

                Altre esclusioni concernono evidentemente dei temi poco influenti di per sé al fine di stabilire la differenza tra l’opinione corriva con il magistero della chiesa e quella invece da essa dissenziente. In tale ottica, ci sono dunque parsi poco decisivi tra gli altri, per esempio, i dati relativi all’ascolto radio-televisivo inerente l’apertura della porta santa o quelli riguardanti i luoghi visitati, le attività seguite, gli acquisti effettuati, le carenze notate durante il soggiorno a Roma o le intenzioni di preghiera o la partecipazione a gruppi e movimenti religiosi o la presenza di un essere superiore od altri dettagli ancora, piuttosto secondari rispetto alla questione da noi posta come centrale in questa sede.

                Vediamo dunque quali sono i tratti dell’ortodossia da soppesare nel confronto con quelli più legati all’eterodossia.

                In primo luogo si deve constatare che i pellegrini più osservanti intendono l’occasione giubilare come propizia per rivedere la loro vita, per pentirsi dei peccati commessi, per guadagnare le indulgenze e la remissione dei peccati. Ma prevale soprattutto il desiderio di riconsiderare la propria esistenza (così è, senza dubbio alcuno, per 687 soggetti su 1023).

                Molti sono venuti a Roma per accrescere la propria fede religiosa ma anche per vedere il papa. Tuttavia per gli ortodossi è la prima la motivazione maggiore, nella misura del 60,2% del totale.

                L’ortodossia e l’allineamento con l’approccio magisteriale si esprimono in modo ben definito specialmente in momenti cruciali, di vero e proprio affrontamento, su posizioni contrapposte tra pensiero laico e pensiero religioso. Dunque la “provocazione” voluta dalle organizzazioni a carattere omosessuale di voler celebrare il loro Gay pride annuale a Roma e giusto nel bel mezzo dell’anno santo è stata vista come una vera sfida al capo ed alla capitale della cattolicità. Di conseguenza, per questa parte di credenti più ossequienti non crea alcun problema schierarsi apertamente con il punto di vista della Curia Romana e della Segreteria di Stato del Vaticano, testimoniando il più solidale consenso alla chiesa cattolica ed il più netto dissenso contro la manifestazione romana degli omosessuali di varie parti del mondo.

                Nessuna perplessità investe i Christifideles maggiormente devoti se devono valutare un’eventuale slittamento della chiesa verso scelte più temporali, meno intrise di spiritualità: a loro giudizio non vi è stato alcun cambiamento in questo senso. Anzi la chiesa mantiene sempre e comunque la sua aura di spiritualità e di mistero in ogni tempo. Dunque la percezione continua ad essere quella di una costante e sostanziale trascendenza dell’agire ecclesiale. Questo esprime quasi il 40% degli intervistati.

                Quando si affronta poi la tematica del sacerdozio per le donne, il gruppo degli ortodossi si schiera a difesa della posizione tradizionale, contraria cioè ad ogni ipotesi di cambiamento nel campo ministeriale riservato agli uomini. Più di un terzo dei soggetti campionati la pensa allo stesso modo e nega ogni possibilità presente e futura di sacerdozio al femminile.

                Indubbiamente il senso di forte appartenenza alla chiesa è tra le caratteristiche principali dell’ortodossia, sebbene anche al suo interno possano ritrovarsi atteggiamenti e comportamenti talora eterodossi. In effetti il sentirsi appartenenti non esime dall’assumere, quando ritenuto necessario, orientamenti divergenti specialmente su materie non strettamente di fede. Tuttavia il dato dell’appartenenza ha una sua significativa rilevanza, visto che si tratta di quasi il 60% dell’insieme.

                In campo ortodosso non c’è da aspettarsi un proliferare di incertezze sulla presenza della divinità. Semmai – e questo un po’ sorprende – fanno più problema le credenze nell’inferno (56,8%) e nel purgatorio (54,8%), con molti punti di percentuale al di sotto della fede in Dio e pure con qualche punto in meno rispetto alla stessa appartenenza di chiesa. Insomma anche l’ortodossia viene intaccata in questi ambiti relativi a due dei quattro novissimi.

                Sull’etica matrimoniale l’insegnamento di chiesa trova sostegno in poco meno di un terzo del campione, che nega ogni spazio alle pratiche divorziste.

                Assai più decisa è la presa di posizione nei confronti degli omosessuali. Il 45,1% non ammette come lecita la pratica dell’omosessualità.

                Un altro caposaldo dell’ortodossia religiosa rimane la partecipazione ai riti festivi. Tra partecipazione a celebrazioni eucaristiche feriali e quelle festive ogni domenica o almeno una o due volte il mese si raggiunge il tasso del 72,1% di messalizzanti. Attorno a quest’asse ruotano però sia il sistema dell’ortodossia che quello dell’eterodossia. Nondimeno l’ortodossia è prevalente fra i frequentatori più solerti.

Last but not least è da tenere presente un altro dei quattro novissimi: la morte. Il suo pensiero dovrebbe essere ricorrente per un fedele sensibile al mantenimento di una sua conformità alla dottrina escatologica cattolica. Infatti esattamente un terzo del campione pensa spesso alla morte. Ma intanto non è dato sapere se tale riferimento riguardi anche l’altro dei quattro novissimi: il giudizio finale. Sta di fatto che in un profilo di ortodossia la riflessione sull’evento ultimo dell’esistenza umana rimane uno snodo fondamentale.

                Conviene comunque esaminare punto per punto le diverse forme dell’ortodossia, secondo quanto emerge dai risultati dello studio sul campo:

Modalità di ortodossia degli intervistati



Modalità


%


N


Giubileo percepito come invito a rivedere la propria vita


67,2


687


Motivazione del viaggio come rafforzamento della fede


60,2


616


Accordo con la chiesa in merito al Gay pride


36,2


370


Chiesa percepita come spirituale


38,1


390


Disaccordo sul sacerdozio femminile


36,2


370


Appartenenza alla chiesa


59,5


609


Certezza sull’esistenza di Dio


93,0


951


Certezza sull’esistenza dell’inferno


56,8


581


Certezza sull’esistenza del purgatorio


54,8


561


No alla liceità del divorzio


29,0


297


No alla liceità dell’omosessualità


45,1


461


Frequenza assidua alla messa (ogni domenica ed oltre)


60,4


618


Presenza frequente del pensiero della morte


33,3


341

                Per avere un’idea più chiara sull’insieme degli ortodossi resosi manifesto attraverso le modalità da noi prescelte, torna utile esaminare anche il tasso di presenza di ciascuna variabile all’interno dell’intero campione, secondo l’andamento decrescente in percentili:

 

Livelli di ortodossia degli intervistati (in ordine decrescente)



Modalità


%


N


Certezza sull’esistenza di Dio


93,0


951


Giubileo percepito come invito a rivedere la propria vita


67,2


687


Frequenza assidua alla messa (ogni domenica ed oltre)


60,4


618


Motivazione del viaggio come rafforzamento della fede


60,2


616


Appartenenza alla chiesa


59,5


609


Certezza sull’esistenza dell’inferno


56,8


581


Certezza sull’esistenza del purgatorio


54,8


561


No alla liceità dell’omosessualità


45,1


461


Chiesa percepita come spirituale


38,1


390


Accordo con la chiesa in merito al Gay pride


36,2


370


Disaccordo sul sacerdozio femminile


36,2


370


Presenza frequente del pensiero della morte


33,3


341


No alla liceità del divorzio


29,0


297

                La credenza nell’esistenza di Dio è più alta di qualunque altra caratteristica, ma non va trascurata la consistente percezione del giubileo come occasione per una revisione della vita. Le ragioni di fede e di appartenenza ecclesiale appaiono tra le modalità in rilievo. Gli atteggiamenti negativi investono l’omosessualità ed il sacerdozio femminile ed in misura minore il divorzio.

Gli eterodossi

                In base all’analisi dei dati sommari dell’inchiesta ci sono sembrati strategici alcuni elementi abbastanza evidenti di eterodossia sui quali è possibile avviare una disamina più approfondita:

                1 – la considerazione del giubileo come un affare commerciale (opinione condivisa da quasi il 40% degli interrogati);

                2 – il forte interesse per le bellezze artistiche di Roma, che può aver surclassato il carattere meramente religioso del viaggio giubilare (circa il 60% del campione sembra propenso ad enfatizzare questo aspetto, anche perché fra ciò che più ha colpito i pellegrini a Roma sono in primo luogo i beni d’arte, nella misura del 67,2% dell’universo);

                3 – l’imbarazzo creato – anche fra gli stessi fedeli cattolici giunti nella città capitolina per il giubileo del 2000 – dall’avversione della chiesa cattolica alla celebrazione del Gay pride a Roma e durante l’anno santo (circa la metà dei nostri intervistati, il 48,3%, cioè 495 soggetti su 1023, non è del tutto d’accordo con l’intervento antiomosessuale; significativo è anche il basso numero di mancate risposte, appena 8);

                4 – la valutazione non sempre positiva dell’orientamento tendenzialmente meno spirituale della chiesa cattolica (a tal proposito il 43,2% dei pellegrini appare certo o dubbioso solo in parte);

                5 – il diffondersi di una maggiore disponibilità dei fedeli nei riguardi dell’ipotesi di attribuzione del ministero sacerdotale alle donne (sia pure con diversa intensità, il totale dei favorevoli registrati dal nostro questionario tocca il 47%);

                6 – l’appartenenza alla chiesa non particolarmente sentita, anche fra quanti aderiscono, come i pellegrini giubilari, alle sue proposte pastorali (il 32,6% non si sente del tutto appartenente ed il 6,7 dichiara esplicitamente di non appartenere affatto);

                7 – la prevalenza della credenza in Dio (il 93% dei giubilanti), ma i consensi assai minori sull’esistenza dell’inferno e del purgatorio (quasi metà degli intervistati hanno dubbi o sono piuttosto critici);

                8 – l’acquisizione della liceità del divorzio, secondo la maggioranza dei cattolici rispondenti al questionario sul giubileo (il 18,1% è assolutamente favorevole ed il 52,6% lo è per ragioni contingenti);

                9 – la propensione a considerare lecita l’omosessualità, già pienamente riconosciuta da un quarto del campione mentre quasi un altro terzo di esso è relativamente favorevole a non condannare le pratiche omosessuali in determinate situazioni (resta del tutto contrario il 45,1% degli interrogati);

                10 – la consistenza della pratica festiva, abbastanza alta, ma con qualche tendenza alla rarefazione o all’assenza totale (il fenomeno riguarda più del 25% dei giubilanti);

                11 –  la scarsa rilevanza della dimensione escatologica, collegata al pensiero della morte (indubbiamente i fedeli giubilari pensano alla morte, in larga maggioranza, ma solo talvolta).

                Vediamo ora in dettaglio l’articolazione delle espressioni eterodosse:

 

Modalità di eterodossia degli intervistati



Modalità


%


N


Giubileo percepito come un buon affare commerciale


38,7


396


Motivazione del viaggio come visita di una bella città


63,9


654


Disaccordo con la chiesa in merito al Gay pride


24,1


247


Accordo parziale con la chiesa in merito al Gay pride


24,2


248


Chiesa percepita come non spirituale


10,3


105


Chiesa percepita come meno spirituale


32,9


337


Consenso per il sacerdozio femminile


27,1


277


Consenso parziale per il sacerdozio femminile


19,9


204


Appartenenza parziale alla chiesa


32,6


333


Non appartenenza alla chiesa


6,7


69


Incertezza sull’esistenza di Dio


6,0


61


Incertezza sull’esistenza dell’inferno


25,7


263


Negazione dell’esistenza dell’inferno


16,6


170


Incertezza sull’esistenza del purgatorio


26,5


271


Negazione dell’esistenza del purgatorio


17,6


180


Sì alla liceità del divorzio


18,1


185


Sì alla liceità del divorzio secondo i casi


52,6


538


Sì alla liceità dell’omosessualità


25,3


259


Sì alla liceità dell’omosessualità secondo i casi


28,9


296


Frequenza saltuaria alla messa (ogni tanto)


16,2


166


Frequenza sporadica alla messa (solennità, occasioni)


7,9


81


Presenza saltuaria del pensiero della morte


58,8


602


Assenza del pensiero della morte


7,2


74

Anche nel caso dell’eterodossia conviene guardare all’ordine decrescente della modalità considerate, in modo da delineare un profilo di massima relativo ai meno osservanti dei precetti di chiesa:

Livelli di eterodossia degli intervistati (in ordine decrescente)



Modalità


%


N


Motivazione del viaggio come visita di una bella città


63,9


654


Presenza saltuaria del pensiero della morte


58,8


602


Sì alla liceità del divorzio secondo i casi


52,6


538


Giubileo percepito come un buon affare commerciale


38,7


396


Chiesa percepita come meno spirituale


32,9


337


Appartenenza parziale alla chiesa


32,6


333


Sì alla liceità dell’omosessualità secondo i casi


28,9


296


Consenso per il sacerdozio femminile


27,1


277


Incertezza sull’esistenza del purgatorio


26,5


271


Incertezza sull’esistenza dell’inferno


25,7


263


Sì alla liceità dell’omosessualità


25,3


259


Accordo parziale con la chiesa in merito al Gay pride


24,2


248


Disaccordo con la chiesa in merito al Gay pride


24,1


247


Consenso parziale per il sacerdozio femminile


19,9


204


Sì alla liceità del divorzio


18,1


185


Negazione dell’esistenza del purgatorio


17,6


180


Negazione dell’esistenza dell’inferno


16,6


170


Frequenza saltuaria alla messa (ogni tanto)


16,2


166


Chiesa percepita come non spirituale


10,3


105


Frequenza sporadica alla messa (solennità, occasioni)


7,9


81


Assenza del pensiero della morte


7,2


74


Non appartenenza alla chiesa


6,7


69


Incertezza sull’esistenza di Dio


6,0


61

                Il viaggio giubilare ha  una motivazione piuttosto turistica; il pensiero sulla morte non è frequente; il favore al divorzio è rimarchevole; le critiche al carattere commerciale del giubileo ed alla minore spiritualità della chiesa – cui si appartiene poco – non mancano. Si è incerti su purgatorio ed inferno ma più possibilisti su omosessualità e sacerdozio femminile. La pratica religiosa non è assidua.

Conformità e divergenza secondo le analisi dei clusters

                Una prima, sommaria clusterizzazione dei soggetti intervistati offre spunti ragguardevoli sulla consistenza dell’adeguamento agli insegnamenti ecclesiali e sulla loro mancata osservanza.

Un primo gruppo è rappresentato dai disaffiliati eterodossi (DE) i cui caratteri sono dati dal non aver visto né sentito nulla sull’apertura del giubileo la notte di Natale del 1999, dal non appartenere alla chiesa, dalla probabilità di parlare del pellegrinaggio ad altri una volta rientrati a casa, dal non pensare mai alla morte, dall’idea che la chiesa  abbia messo da parte spiritualità e mistero.

Un secondo gruppo di praticanti ortodossi (PO) mostra di aver fatto penitenza durante il pellegrinaggio giubilare e di praticare molto (con partecipazione alla messa anche feriale).

Il terzo cluster di militanti eterodossi (ME) mette in luce una certa apertura verso i problemi dell’omosessualità, giacché non si dice d’accordo sulle pressioni della chiesa per impedire la manifestazione del Gay pride a Roma e  valuta come sempre ammissibile la pratica dell’omosessualità.

Il quarto gruppo degli osservanti ortodossi (OO) crede molto nell’esistenza di Dio, ha pregato, è andato a messa durante il pellegrinaggio giubilare, di cui parlerà certamente ad altri dopo il ritorno a casa, e si dice d’accordo sulla richiesta di perdono del papa per le colpe commesse in passato dalla chiesa.

Se si volesse collocare i quattro gruppi lungo un continuum tra i due poli dell’ortodossia e dell’eterodossia si avrebbe, nell’ordine della sequenza, il gruppo dei praticanti ortodossi, PO, seguito dagli osservanti ortodossi, OO, e poi dai disaffiliati eterodossi, DE, e dai militanti eterodossi, ME.




PRATICANTI ORTODOSSI


 



DISAFFILIATI ETERODOSSI


 



OSSERVANTI ORTODOSSI ETERODOSSI


 



MILITANTI ETERODOSSI


 

                Il flusso di continuità fra i diversi clusters è ipotizzabile sulla scorta di diverse considerazioni:

a)       tutti i soggetti hanno vissuto la medesima esperienza del pellegrinaggio per l’anno santo;

b)       in linea di massima il riferimento comune, anche se non condiviso in ogni dettaglio, rimane quello della matrice culturale cattolica;

c)       le diversificazioni non sono particolarmente accentuate, come invece potrebbero risultare da un universo generico di popolazione;

d)       la selezione dei soggetti campionati è avvenuta all’interno di categorie sociologiche tendenzialmente contigue per area linguistico-geografica di provenienza, cioè per regionalità italiana e nazionalità straniera;

e)       le fasce di età degli intervistati seguono un continuum senza soluzione che va dai 18 ai 78 anni, con tutte le classi di età debitamente rappresentate nel campione;

f)        gli atteggiamenti (e gli eventuali comportamenti che ne derivano) sono collocabili entro una dinamica ininterrotta che va dal massimo consenso alla religione di chiesa al massimo impegno militante di differenziazione, senza che però siano immaginabili fratture profonde ed insanabili su gran parte degli aspetti presi in esame nel questionario.

La procedura dell’analisi*

                Dagli items chiusi del questionario si sono scelti, in primo luogo, quelli pertinenti rispetto al costrutto  ortodossia/eterodossia. Da questi items sono state estratte le alternative che caratterizzavano le due polarità, divenute poi delle nuove variabili, le quali hanno assunto per ciascun soggetto valore 1 quando la persona intervistata aveva scelto quella alternativa del quesito, altrimenti il valore considerato è stato 0.

Ciò ha consentito il calcolo della distanza euclidea tra queste nuove variabili binarie, poste in colonna all’interno di una matrice che nelle righe riportava i soggetti. A scopo esplorativo si è proceduto al clustering gerarchico di detta tabella, senza porre alcun vincolo al numero di clusters, al fine di individuare raggruppamenti con agglomerazione successiva di tutte le variabili secondo gruppi differenziati nel grado di omogeneità interna. Questo è stato fatto con due metodiche: Between-groups linkage e Ward’s method.

L’analisi delle aggregazioni successive nel dendrogramma e delle configurazioni in gruppi a diversa omogeneità suggerisce di replicare l’analisi su un sottoinsieme delle variabili, eliminando le variabili che dal programma vengono assegnate ad un gruppo ma ne aumentano in modo rilevante la disomogeneità. Così facendo, per approssimazioni successive, si è arrivati alla soluzione scelta, che è riportata nel dendrogramma che segue:

DENDROGRAMMA (METODO WARD)



 Cluster


 Posizione


Modalità di risposta nel questionario


   0———+———+———+———+———25


 Casi


DE


3


NoVisto


 1 -+


 


 


 


NoAppa


 2 -+


 


 


 


ForseParla


 3 -+


199


 


 


MaiMorte


 4 -+—+


 


 


 


ChieNoSpir


 5 -+   +-+


 


ME


4


NoChieOmosex


 6 —+-+ +—————————————–+


122


 


 


SempreOmosex


 7 —+   I                                         I


 


PO


1


PregPiù


 8 -+—–+                                         I


142


 


 


MesFer


14 -+                                               I


 


OO


2


SìPrega


 9 -+                                               I


 


 


 


EsisteDio


10 -+-+                                             I


 


 


 


SìMessa


11 -+ I                                             I


898


 


 


SìPerdPapa


12 —+———————————————+


 


 


 


SìParla


13 —+ 


 


 


 


 


   +———+———+———+———+———+


 


 


 


 


   0         5        10        15        20        25


 

La prima colonna riporta la denominazione dell’interpretazione fatta del cluster, la seconda colonna la posizione ordinale del cluster nel continuum ideale ortodossia/eterodossia, la terza colonna presenta la denominazione assegnata alla variabile binaria, la colonna successiva mostra la configurazione scelta del dendrogramma, l’ultima colonna enumera i casi di ogni cluster.

Indipendentemente per le quattro partizioni DE, ME, PO, OO della matrice binaria soggetti*variabili si sono ripartiti i soggetti in due raggruppamenti con la procedura K-means cluster.  Questo ha consentito il calcolo della distanza del soggetto dal centroide di gruppo e l’attribuzione dei soggetti ai quattro cluster DE, ME, PO, OO.  La tabella qui sotto riporta per le quattro partizioni di variabili il centroide iniziale e finale dei due raggruppamenti di soggetti:

   K-means cluster dei soggetti per i quattro tipi di ortodossia



 Cluster


 Posizione


Modalità di risposta nel questionario


 C1 iniziale


 C2 iniziale


 C1 finale


 C2 finale


 Casi


PO


1


PregPiù


0


1


0


1


C1=861


 


 


MesFer


0


1


0


1


C2=142


OO


2


SìPrega


0


1


0


1


 


 


 


EsisteDio


0


1


1


1


C1=105


 


 


SìMessa


1


0


1


1


C2=898


 


 


SìPerdPapa


0


1


0


1


 


 


 


SìParla


0


1


0


1


 


DE


3


NoVisto


1


0


1


0


 


 


 


NoAppa


1


0


1


0


C1=199


 


 


ForseParla


1


0


1


0


C1=804


 


 


MaiMorte


1


0


1


0


 


 


 


ChieNoSpir


1


0


1


0


 


ME


4


NoChieOmosex


0


1


0


1


C1=881


 


 


SempreOmosex


0


1


0


1


C2=122

Si sono quindi esaminate le risposte date a vari items del questionario dai soggetti definiti appartenenti ai quattro tipi  dei soggetti DE, ME, PO, OO. 

La diversificazione tra i gruppi è data dalla graduazione dell’ortodossia e dell’eterodossia lungo le linee dell’opinare e dell’agire in campo etico, sociale e religioso. Ma anche all’interno delle due collocazioni di “dossia” c’è una variabilità a livello di impegno e dedizione alla causa cui gli intervistati appaiono più votati: c’è una dedizione assoluta sia ortodossa che eterodossa, ma pure una condivisione più soft, meno coinvolgente a livello di categorie di pensiero ed azione. Il quadro globale che ne emerge in percentili è il seguente:  

Questo risultato, che vede prevalere numericamente la quota parte degli osservanti ortodossi nella misura del 56,5%, accompagnati dal 13,4% rappresentato dai praticanti ortodossi, è l’esito di una accurata e più volte verificata cluster analysis con il metodo Ward. L’eterodossia costituisce il 24,3% del campione considerato, dunque riguarda circa un quarto dell’universo ma è da valutare come un indicatore di una presumibilmente più vasta area di eterodossia, non necessariamente coinvolta nel vissuto giubilare attraverso una partecipazione diretta al vaggio a Roma.

                La tipologia risultata dalla cluster analysis si è fondata su 14 modalità di risposta al questionario somministrato:

1)       §1_F – Risposta “No, non ho visto né sentito nulla” alla domanda 1 “La notte di Natale, in San Pietro a Roma, Giovanni Paolo II ha aperto il Giubileo. Lei ha potuto seguire questo evento?” (NoVisto);

2)       §38_C – Risposta “Non appartengo alla Chiesa cattolica” alla domanda 38 “Lei sente di appartenere alla Chiesa cattolica?” (No Appa);

3)       §22_C – Risposta “Nonso/Dipende dai casi” alla domanda 22 “Una volta rientrato a casa, parlerà agli altri di questo pellegrinaggio?” (Forse Parla);

4)       49_C – Risposta “Mai” alla domanda 49 “E alla morte? Le capita di pensarci?” (MaiMorte);

5)       §35_A – Risposta “Sì, totalmente” alla domanda 35 “Alcuni dicono che la Chiesa ha messo da parte spiritualità e mistero. Lei è d’accordo?” (ChieNoSpir);

6)       §33_C – Risposta “No, per niente” alla domanda 33 “La Chiesa ha fatto pressioni per impedire la manifestazione mondiale degli omosessuali e delle lesbiche a Roma. Secondo Lei ha fatto bene?” (NoChieOmosex);

7)       §44_6_A – Risposta “Sempre” alla domanda 44 “Secondo Lei, è ammissibile praticare l’omosessualità?” (SempreOmosex);

8)       §47_A – Risposta “Più volte al giorno” alla domanda 47 “Con quale frequenza prega?” (PregPiù);

9)       §46_A – Risposta “La domenica sempre, e anche durante la settimana” alla domanda 46 “Solitamente, con quale frequenza Lei va a messa?” (MesFer);

10)    §13_A – Risposta “Sì” alla domanda 13 “In questo pellegrinaggio ha pregato?” (SìPrega);

11)    §43_1_A – Risposta “Sì, pienamente” alla domanda 43 “Lei crede che esista Dio? (EsisteDio);

12)    §12_1_A – Risposta “Alla messa” alla domanda 12 “A che cosa ha preso parte durante questo pellegrinaggio’” (SìMessa);

13)    §32_A – Risposta “Sono d’accordo” alla domanda 32 “Il Papa ha chiesto perdono per le colpe commesse in passato dalla Chiesa. Come giudica questo gesto?” (SìPerdPapa);

14)    §22_A – Risposta “Sì, certamente” alla domanda 22 “Una volta rientrato a casa, parlerà agli altri di questo pellegrinaggio?” (SìParla).

Il dendrogramma elaborato in riferimento alla suddette modalità è il seguente (con le cifre in grassetto che indicano i dati presi in esame perché significativamente presenti; con la posizione dei quattro gruppi in base al loro grado di ortodossia; con l’abbreviazione relativa ad ogni cluster, cioè DE per i disaffiliati eterodossi, ME per i militanti eterodossi, PO per i praticanti ortodossi, OO per gli osservanti ortodossi):

DENDROGRAMMA (METODO WARD)



 


C1 iniziale


C2 iniziale


C1 finale


C2 finale


Posizione


Cluster


Modalità di risposta nel questionario


    0         5        10        15        20        25


 


 


 


 


 


 


 


 


    +———+———+———+———+———+


 


1


0


1


0


3


DE


NoVisto


 1 -+


  C1=199


1


0


1


0


 


 


NoAppa


 2 -+


  C1=804


1


0


1


0


 


 


ForseParla


 3 -+


 


1


0


1


0


 


 


MaiMorte


 4 -+—+


 


1


0


1


0


 


 


ChieNoSpir


 5 -+   +-+


  C1=881


0


1


0


1


4


ME


NoChieOmosex


 6 —+-+ +—————————————–+


  C2=122


0


1


0


1


 


 


SempreOmosex


 7 —+   I                                         I


  C1=861


0


1


0


1


1


PO


PregPiù


 8 -+—–+                                         I


  C2=142


0


1


0


1


 


 


MesFer


14 -+                                               I


 


0


1


0


1


2


OO


SìPrega


 9 -+                                               I


  C1=105


0


1


1


1


 


 


EsisteDio


10 -+-+                                             I


  C2=898


1


0


1


1


 


 


SìMessa


11 -+ I                                             I


 


0


1


0


1


 


 


SìPerdPapa


12 —+———————————————+


 


0


1


0


1


 


 


SìParla


13 —+ 


 


 


 


 


 


 


 


 


   +———+———+———+———+———+


 


 


 


 


 


 


 


 


   0         5        10        15        20        25

Ulteriori dettagli sull’articolazione dei quattro insiemi rilevati sono desumibili dalla seguente tabella che offre il quadro completo della collocazione nell’ambito complessivo dell’inchiesta:

Cluster analysis su ortodossia ed eterodossia dei pellegrini giubilari



 


Cluster


Frequenza


Percentuale


Percentuale valida


Percentuale cumulata

 


Validi


DE


132


13,16


13,94


13,94


 


 


ME


113


11,27


11,93


25,87


 


 


PO


135


13,46


14,26


40,13


 


 


OO


567


56,53


59,87


100


 


 


Totale parziale


947


94,42


100


 


 


Missing


System missing


56


5,58


 


 


 


 


Totale


56


5,58


 


 


 


Totale


 


1003


100




 


 

Il totale del nostro campione ammonta a 1003 unità intervistate, dunque con 20 unità in meno rispetto al campione complessivo nazionale, perché nel nostro caso non sono state utilizzate le 30 interviste del pre test ma in pari tempo sono state aggiunte 10 interviste somministrate a pellegrini polacchi rientrati a Varsavia dopo il viaggio a Roma. Pertanto si ha la seguente situazione:

                interviste utilizzate nel nostro campione: 993+10 (polacchi) = 1003 interviste in totale;

                interviste del campione complessivo nazionale: 1023 (di cui 30 facenti parte del pre test);

                differenza del nostro campione rispetto al campione complessivo nazionale: 20 interviste in meno.

I dati principali della cluster analysis

                All’inizio della cluster analysis sono state utilizzate 60 variabili tratte dall’insieme dell’intero questionario. Alla fine ne sono rimaste come significative appena 14, tra quelle considerate attive. Tra le variabili supplementari hanno un peso ragguardevole per la determinazione dei gruppi di ortodossia ed eterodossia sia l’età che il titolo di studio, come pure la condizione di pensionato.

                Tra i giovani in età 18-35 anni la pratica ortodossa segna appena il 3,9%, mentre sale al 31,8% fra i più anziani (61-75 anni).

                Più della metà degli intervistati ha un titolo di studio superiore (diploma di scuola secondaria di II grado oppure di livello universitario).

                I pensionati sono piuttosto numerosi (27,1%) tra i praticanti ortodossi. Lo stesso dicasi per le donne (17,6%).

                L’ampiezza del comune di residenza non incide particolarmente sulla distribuzione dei gruppi, schierati tra ortodossia ed eterodossia.

                Gli osservanti ortodossi caratterizzano maggiormente il sud.

                Nell’ambito dei pellegrini che si sono fermati a Roma un solo giorno prevalgono gli osservanti ortodossi.

                Un peso notevole è dato dallo schieramento politico. La sinistra riscuote consensi fra i militanti eterodossi, la destra fra i più ortodossi (i praticanti).

                I polacchi appaiono come i meno eterodossi. I portoghesi sono i più ligi nell’impegno della pratica religiosa, ben oltre il livello dell’obbligo. Scarsa è la presenza francese in campo militante eterodosso, dove spicca invece l’apporto dei tedeschi.

                Gli italiani fanno registrare una più numerosa presenza fra gli osservanti ortodossi (10% di differenza rispetto al campione internazionale) ed uno o due punti di percentuale in meno negli altri tre gruppi:

                Di qualche interesse è anche la ripartizione in percentuale per ambiti regionali, che si articola in Nord, Centro, Sud ed isole:



 


Disaffiliati eterodossi


Militanti eterodossi


Praticanti ortodossi


Osservanti ortodossi


TOTALE


Nord


13,1%


10,3%


  9,3%


67,3%


100%


Centro


13,8%


  6,9%


14,9%


64,4%


100%


Sud ed isole


11,1%


10,4%


10,4%


68,1%


100%

                I praticanti ortodossi sono meno presenti al Nord ma più numerosi nelle regioni del Centro. Gli osservanti ortodossi toccano il livello massimo nella parte meridionale ed isolana, quello minimo al Centro. I militanti eterodossi sono pochissimi nell’Italia centrale. Ma al di là degli osservanti ortodossi va rilevato che gli altri gruppi sono poco consistenti, giacché le frequenze variano fra 6 e 15 unità. Invece il gruppo maggioritario (OO) è sempre ben presente nelle tre aree regionali, con presenza minima – come si è detto – nel Centro (56 soggetti) e massima nel meridione ed in Sicilia e Sardegna (92 pellegrini).

                Appare confermato il peso dei mezzi di comunicazione di massa per la diffusione del giubileo, anche fra gli eterodossi. 

                I disaffiliati eterodossi pensano assai poco alla morte (il 65,2% dice che non lo fa mai). Il polo opposto è dato dagli osservanti ortodossi più orientati a riflettere su di essa.

                La preghiera è più rara tra i militanti eterodossi ma risulta più frequente tra i praticanti ortodossi.

                Sulla morale sessuale si divaricano le posizioni di eterodossi ed ortodossi, sia in tema di relazioni extra-matrimoniali che di omosessualità. Lo stesso dicasi in materia di aborto.

                La pratica festiva è abbastanza rimarchevole fra i praticanti ortodossi ma non negli altri gruppi.

                La non appartenenza alla chiesa concerne specialmente gli eterodossi. Scarso è l’interesse per l’associazionismo, fatta eccezione per gli ortodossi.

                Vari dubbi affiorano su purgatorio e paradiso e pure sull’esistenza di Dio. Anche in questi casi dominano gli eterodossi.

                Assai problematica è la questione relativa al Gay pride. Infatti il 50,9% dei militanti eterodossi si dichiara in totale disaccordo con le prese di posizione della chiesa in merito.

                Critiche giungono all’istituzione ecclesiale pure sulla sua mancanza di tenuta in campo spirituale. Soprattutto le due categorie degli eterodossi manifestano in proposito perplessità in modo piuttosto accentuato.

                Largo è il favore per il sacerdozio femminile espresso dagli eterodossi ma pure dagli ortodossi, sebbene in misura minore.

                Molti degli eterodossi non hanno mai pregato durante il viaggio a Roma.

                Gli habitués della mobilità a matrice religiosa non mancano, dato che diversi intervistati hanno dichiarato di aver preso parte a due, tre o più pellegrinaggi nell’ultimo triennio.

Conclusione

                Diversamente da quel che si ritiene comunemente, secondo lo psicologo Milton Rokeach (in The Open and Closed Mind, Basic Books, New York, 1960) i cattolici rappresentano il gruppo più dogmatico fra i vari gruppi religiosi. Tale accertamento è emerso da un uso continuo e controllato della “scala di dogmatismo”, messa a punto dallo stesso Rokeach per misurare le diversità individuali fra apertura e chiusura dei sistemi di credenza. La scala misura sia l’autoritarismo che l’intolleranza, mediante la proposta di 66 affermazioni, sulle quali gli intervistati sono chiamati ad esprimere accordo o disaccordo entro un raggio che va dal massimo di accettazione al massimo di rifiuto (dal punteggio di più 3 a quello di meno 3).

                Il rispetto del dogmatismo comporterebbe anche delle ricompense per gli osservanti più accondiscendenti, cioè definibili come ortodossi.

                Comunque occorre precisare che il dogmatismo cattolico non alligna ovunque allo stesso modo. Ad esempio non è riscontrabile in America Latina (forse questa è una delle ragioni – non l’ultima – che ha reso possibile in tale contesto la nascita e lo sviluppo di una teologia della liberazione, dal chiaro taglio eterodosso).

                In fondo l’eterodossia è una sorta di devianza dalle prescrizioni dottrinali. Per questo, a salvaguardia del patrimonio dogmatico, un gruppo di specialisti viene addetto alla curatela della corretta osservanza. Essi sono i custodi dell’ortodossia e comminano sanzioni agli eterodossi. Era nato così anche l’antisemitismo.

                Nondimeno è facile constatare che l’ortodossia appartiene preferibilmente alle società letterate, mentre per le altre si pone il problema di come poter controllare soprattutto ciò che non è scritto.   

                Del resto è proprio attraverso documenti scritti che si fa conoscere il punto di vista ufficiale della chiesa: lettere, encicliche, manuali teologici, dichiarazioni formali, pronunciamenti ufficiali.

                Sulla base di tale bagaglio documentale è poi possibile istruire le nuove generazioni di laici ma soprattutto di ministri religiosi, i quali ultimi saranno a loro volta preposti al mantenimento dei riferimenti ortodossi.

                In tal modo la gestazione e la gestione della “dossia”  avvengono senza una significativa partecipazione laicale nei suoi settori di applicazione, dall’ermeneutica biblica alla precettistica morale, dall’approccio socio-politico a quello liturgico-pastorale. 

                La retta credenza è legittimata di fatto da una microchiesa di specialisti dentro la macrochiesa di tutti i fedeli. La microchiesa stabilisce di volta in volta, caso per caso, in che cosa consista la purezza della fede e valuta, di conseguenza, la conformità alla dottrina ed ai principi.

                Da un punto di vista sociologico sorge però il problema se possa considerarsi ortodossia anche quella di una minoranza nell’ambito della comunità del cattolicesimo. Ad esempio sul sacerdozio femminile è favorevole, pur in misura differenziata, il 47% dei pellegrini intervistati. Si dice contrario il 36,2%. Non si esprime il 16%. L’ortodossia sarebbe dunque quella di un terzo del campione? E se così fosse, la chiesa “vera” sarebbe rappresentata solo da una parte minoritaria dei giubilanti? Ovviamente la risposta “ortodossa” sarebbe che la verità non si accerta a colpi di maggioranza. Ma qui il problema sociologico è un altro, in chiave di sociologia della conoscenza: chi legittima e che cosa viene legittimato.

                Il discorso non vale solo per il cattolicesimo. Anche nell’islam (e nella percezione che se ne ha dall’esterno) il fondamentalismo della minoranza appare come carattere maggioritario mentre in realtà la maggioranza dei seguaci di Maometto spesso non è allineata con la prospettiva dominante fra i ministri del culto, ma presenta caratteri eterodossi, differenziati, più flessibili. Insomma l’ortodossia come dato empirico prevalente risulta anche qui un’utopia.

                Ogni istanza ortodossa, sia essa cattolica, islamica, giudaica o protestante, deve comunque fare i conti con le spinte provenienti dall’eterodossia, al fine di poter conservare una tendenziale affinità tra i membri della propria comunità religiosa, grazie all’adesione conforme e completa alle idee fondamentali.

                Per ottenere un simile risultato può giovare anche una celebrazione festiva. Com’è noto la chiesa greca festeggia l’ortodossia nella prima domenica di quaresima, secondo quanto stabilito dal concilio di Costantinopoli dell’842, a ricordo della vittoria sull’iconoclastia. Ma pure il 12 ottobre i greci hanno una festa dell’ortodossia, a ricordo del secondo concilio di Nicea durante il quale venne condannata l’iconoclastia.

                Anche il grande giubileo del 2000 è forse stato, nel suo complesso, una festa dell’ortodossia ma, come testimoniano i nostri intervistati, non sono mancati segnali e manifestazioni esplicite di eterodossia.      

Ringrazio della cortese e decisiva collaborazione il prof. Lucio De Iorio dell’Università Roma Tre, con cui ho discusso più volte la scelta delle procedure di cluster analysis.